Capitolo XXIV - Analisi e Commento

La Struttura Il ventiquattresimo capitolo chiude due importanti storie che si erano sviluppate all'interno del romanzo dal XIX al XXIV, ovvero quelle dell'Innominato e di Lucia. Il primo esce di scena per poi riapparire più avanti dove concretizzerà la sua conversione attraverso le opere, la seconda invece vede il suo dramma concludersi. Il XXIV capitolo si può quindi riassumere in tre parti:
a) La liberazione di Lucia (conclusione del suo dramma);
b) La sosta della ragazza nella casa del sarto;

Capitolo XXIII - Analisi e Commento

La Struttura Il capitolo rappresenta sia la continuazione del precedente, sia l'inizio e la fine del processo di conversione dell'Innominato. Idea della conversione che nasce dall'angosciosa notte seguita al rapimento di Lucia. Assistiamo in questo capitolo ad un lungo colloquio, che occupa tutta la parte centrale, tra il potente signore e il cardinale Borromeo. Quindi l'Innominato, accompagnato da don Abbondio, torna al castello per liberare Lucia.
Si può notare in questo 23° capitolo un fatto assai importante: chi si pensava fosse il vincitore della vicenda, vale a dire don Rodrigo, si

Capitolo XXII - Analisi e Commento

La Struttura Questo capitolo rappresenta la naturale prosecuzione del precedente. Siamo ormai alle prime ore del mattino, i nostri due protagonisti hanno trascorso una notte insonne per, come visto nell'analisi del capitolo 21, motivi differenti. L'Innominato sente da lontano il suono festoso delle campane e vede gente che cammina. Un bravo gli comunica che è in arrivo il cardinale Federigo Borromeo, in visita alle parrocchie della valle. L'incontro tra i due personaggi che rappresentano il bene e il male viene rinviato al capitolo 23, quindi in questo capitolo ci dobbiamo "accontentare"

Capitolo XXI - Analisi e Commento

La Struttura Il capitolo si può dividere in due grandi macrosequenze, la prima parte racconta dell’angosciosa notte trascorsa da Lucia nel castello dell’Innominato, mentre la seconda mette in luce l’altrettanto angosciosa notte passata dall’Innominato in un’altra parte del castello.
Due vicende solo presentate come simultanee dal punto di vista temporale grazie all’abilità del narratore-regista che ci trasporta da un’ala ad un’altra del castello.

Capitolo 3 - Fra Galdino

Un altro personaggio che in poche efficaci pennellate, benché sia solo "una meteora", Manzoni ci presenta è il buon fra Galdino.
Non è necessaria la descrizione del suo aspetto fisico: ci basta leggere come si presenta e quel che dice, per venire introdotti nel mondo pacifico e pacificante della religiosità popolare che fino a qualche tempo fa si poteva respirare anche nelle nostre contrade (prima che gli intellettuali organici alla Gramsci diffondessero in modo travolgente quell'ateismo pratico che ormai permea quasi tutti gli aspetti della cultura di massa).Rimaste sole e smesso l'abito della festa, Lucia ed Agnese parlano fra loro di quanto accaduto e di come affrontare la nuova imprevista situazione. La buona Agnese si compiace, sotto lo sguardo bonario dell'autore, dell'iniziativa suggerita a Renzo di consultare il dottor Azzecca-garbugli; e, dopo che ebbe ben parlato dei grandi effetti che si dovevano sperare dai consigli del dottore", Lucia, che non si fa illusioni (anche se non sa ancora del fallimento della missione di Renzo), disse che bisognava veder di aiutarsi in tutte le maniere, e che sarebbe una gran bella cosa poter (…) far sapere (a Padre Cristoforo) quanto era accaduto. Le due donne si stanno chiedendo come raggiungere il confessore di Lucia, quando si presenta il buon Fra Galdino, un laico cercatore cappuccino, con la sua bisaccia pendente sulla spalla sinistra per la cerca delle noci.Il fraticello, nel candore e nella semplicità tipica di uno abituato a vivere nel mondo dolce (anche se non scevro da contraddizioni) di un convento, dove tutto viene accolto dalle mani di Dio e abbracciato senza troppe complicazioni, si mostra pieno di cordialità e del giusto grado di interesse nei confronti del matrimonio di Lucia; e, mentre la giovane va a prendere le noci per offrirle in elemosina, si lascia andare al racconto - chissà quante volte ripetuto, ma sempre bello e nuovo nella sua semplicità - del miracolo delle noci. Tale racconto era naturalmente parte integrante delle conoscenze del nostro fraticello, abituato a vivere e a nutrire anche la sua mente dell'essenziale. Ma non è privo di quella che noi potremmo definire consapevolezza culturale (ma chi la vive non ha bisogno di razionalizzarla con una definizione!) che lo porta a quel giudizio così vero e così bello sulla Chiesa, di cui lui si sente parte viva: Noi siamo come il mare, che riceve acqua da tutte le parti e la torna a distribuire a tutti i fiumi.Attraverso questa definizione, posta in bocca all'umile personaggio, Manzoni comincia a presentarci la misteriosa vita della Chiesa, che, come buona madre, è ricettiva di tutto e distributrice di tutto; anzi potremmo dire che è aperta ad accogliere Tutto, il Tutto che riceve letteralmente dalle mano di Dio Padre e poi, con generosità, facendosi interprete e strumento di Lui, ridistribuisce ai suoi figli.Naturalmente Manzoni non si ferma al personaggio che non è poi tanto di pura fantasia, se pensiamo a quei fraticelli elevati alla gloria degli altari solo per essersi limitati a girare per città e paesi a raccogliere le elemosine, distribuendo in cambio serenità e accoglienza del cuore a tutti quelli che li accostavano. Egli infatti partendo dall'umile fraticello, descrive quella che era la condizione dell'ordine dei cappuccini nel '600 : Nulla pareva per loro troppo basso, né troppo elevato. Servir gli infimi, ed esser servito dai potenti, entrar nei palazzi e nei tuguri, con lo stesso contegno d'umiltà e di sicurezza, esser talvolta, nella stessa casa un soggetto di passatempo e un personaggio senza il quale non si decideva nulla, chieder l'elemosina per tutto, e farla a tutti quelli che la chiedevano al convento, a tutto era avvezzo un cappuccino.Anche questa descrizione, che richiama con efficacia la perfetta letizia francescana, ci ripropone un mondo cui non siamo più avvezzi: per le strade vediamo ben altro normalmente, e sembra che gli stessi umili sai, seppure qualcuno ne vediamo, non dicano più nulla ai passanti distratti [da ben altro] e certamente disabituati a cogliere, nelle circostanze e negli incontri, dei segni di qualcosa di più grande: ormai è come se fossimo ottusi davanti alla possibilità di interrogarci realmente, con l'intelligenza e la ragione, su quel che accade: ci limitiamo a subire come bestie braccate o a reagire con violenza quando non possiamo evitare le contraddizioni. Eppure abbiamo bisogno di quell'umile serenità e dell'equilibrio che forse ancora albergano in quelle oasi di pace vera (che non esclude il dramma della lotta quotidiana per il bene) che sono appunto i conventi; proprio per reimparare a vivere, con un significato pacificante, anche [la nostra] l'umile quotidianità dei nostri ambienti.

Capitolo 3 - I Quattro Capponi

Credo che non si possa sorvolare sul bonario insegnamento dei quattro capponi di Renzo. La vicenda è nota: i due giovani promessi sposi per l'odioso interessamento di un signorotto di paese e per l'ignavia del povero don Abbondio vedono sconvolto il loro legittimo progetto di matrimonio. La scoperta di questo ingiusto complotto li raggiunge indifesi e li avvicina ancor di più alla madre di Lucia, Agnese, che, da buona popolana, pensa di poter risolvere la situazione consultando quella cima d'uomo che è il dottor Azzecca-garbugli (badate bene di non chiamarlo così!).
Renzo, da bravo giovine che la ferma e dolce decisione di Lucia ha distolto da propositi di vendetta, accetta di buon grado il suggerimento della futura suocera e riceve da lei i famosi quattro capponi perché non bisogna mai andare con le mani vuote da quei signori. Per consegnarglieli, Agnese riunì le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago.
Con questo mazzetto di zampe di cappone sulla mano destra, tormentata anch'essa perché accompagna con i gesti il tumulto dei sentimenti del giovane, Renzo si avvia tra speranza e rabbia verso l'abitazione del dottor Azzecca-garbugli, naturalmente a piedi: Lascio pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe a capo all'in giù, nella mano di un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. (…) e dava loro di fiere scosse, e faceva sbalzare quelle teste spenzolate; le quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.
L'arguta riflessione di Manzoni che giunge come un modesto suggerimento alla fine del periodo sintattico, non si può registrare semplicemente con un sorriso di complicità che egli evidentemente sa di poter strappare al lettore.
Ritengo utile riflettere su questo strano comportamento che ci vede così spesso più pronti a cogliere gli elementi di differenza e di discordanza, piuttosto che valorizzare e abbracciare la diversità dell'altro.
In fondo l'uomo, ciascun uomo, è fatto per la comunione, per sentirsi in sintonia con gli altri, per la pace… e invece (chissà perché!) prevale sempre la tendenza ai vari "distinguo", se non alla violenza verbale e fisica, che è forse solo un modo errato e immaturo di mostrare la propria specificità e originalità. Forse perché amiamo le soluzioni più sbrigative e immediate, forse perché è più facile distruggere che costruire; forse perché il tentativo di realizzare una comunione, o almeno un accordo sull'essenziale, è troppo faticoso e richiede troppo tempo…
C'è evidentemente un motivo per cui ciascuno di noi aspira all'unità con gli altri ed alla pace; e c'è anche un motivo per cui non riusciamo a stare al livello delle nostre attese più vere: si tratta semplicemente di focalizzare il problema e affrontarlo con gli strumenti adeguati.

Capitolo 3 - Lucia è solo una Creatura di Fantasia?

In questo terzo capitolo l'interesse si sposta su alcuni aspetti della società del 600 e sembra proprio di entrare in… un altro mondo.
Eppure siamo nella nostra cara Lombardia, in Italia, e solo qualche secolo fa. Ma l'abisso che ci separa dalla mentalità di quel tempo ci rende quasi incomprensibili certi aspetti, visto che siamo abituati a giudicare la realtà in base ai limitati schemi mentali dell'epoca in cui viviamo.
E' importante invece, per comprendere anche il comportamento dei personaggi, conoscere la mentalità oltre che la storia di quegli anni.
Lucia infatti è uno dei personaggi più incompresi, proprio perché ci è ostico il suo modo di affrontare la realtà. Definita ora arrendevole, ora insignificante dai nostri critici letterari più accreditati, si rivela invece ad un attento lettore e ad un conoscitore della mentalità del tempo come "la donna forte" delle Scritture, che sa quel che è bene e lo persegue senza tentennamenti e a costo di incomprensione e di sacrifici; eppure non ha sicuramente più di vent'anni…
Già nel capitolo precedente si parlava di quel placido accoramento che si mostra di quand'in quando sul volto delle spose, e, senza scompor la bellezza, le dà un carattere particolare.
Ma in che cosa consisterà mai questo carattere particolare della bellezza della giovane è qualcosa che oggi, dopo quattro secoli, probabilmente non sapremo mai, e proprio per questo consideriamo la descrizione quanto meno singolare, oppure sorvoliamo tranquillamente.
Certo, è facile alle lacrime: non sono però lacrime dovute a fragilità; si tratta piuttosto del pianto di chi ha fatto tutto quanto era in suo potere, ma le circostanze l'hanno avversato. Insomma non è una che si piange addosso… E non è nemmeno una che ama parlare troppo di sé anche solo per cercare conforto.Realistico e drammatico è proprio sul finire del capitolo precedente l'incontro con Renzo: ma, davanti a quel presentimento di terrore, lei, che sa bene quel che c'è sotto, prende in mano la situazione e, per evitare i pettegolezzi delle amiche, accorse a casa sua per le nozze imminenti, congeda tutte con una sbrigativo Il signor curato è ammalato, e oggi non si può far nulla. Insomma, tra tutte quelle amiche, sicuramente più attempate, e anche rispetto alla madre, lei è l'unica che ha la presenza di spirito di affrontare la situazione con dignità.
In questo terzo capitolo, incalzata dalla madre e dallo sposo, non può fare a meno di raccontare quanto aveva detto soltanto al confessore e di giustificare tutto il comportamento tenuto fino ad allora che l'aveva spinta ad agire da sfacciata perché… aveva voluto accelerare le nozze.
Davanti poi alle rimostranze di Renzo, che vorrebbe farla pagare a don Rodrigo (Questa è l'ultima che fa quell'assassino), ha ben chiaro che Il Signore c'è anche per i poveri; e come volete che ci aiuti, se facciam del male? E giunge persino a proporre a Renzo di partire lontano in modo che Colui non senta più parlar di noi.
Sembra proprio che la difficoltà gravissima in cui si viene a trovare renda la giovane capace di gesti coraggiosi: la difficoltà diventa un'occasione di maturazione: le circostanze non la travolgono, come invece rischia di capitare a Renzo, ma è lei che cerca di controllarle per quanto le è possibile. Ed è soltanto una "donna giovane e insignificante" per i nostri critici letterari…
E poi, dopo aver tentato di proporre la sua soluzione in modo deciso, si abbandona finalmente al pianto: ne ha tutto il diritto! Ma solo dopo aver cercato di affrontare la situazione in modo degno della formazione cristianamente equilibrata offertale dal suo padre spirituale.


Questi primi gesti di Lucia, descritti in modo quasi fotografico e estremamente sobrio dal Manzoni, ce la fanno apparire come una creatura davvero incomprensibile, se pensiamo alla fragilità e alla volubilità non solo dei nostri giovani, ma anche degli adulti del nostro tempo. Eppure nella concezione del Manzoni, profondamente cristiana, la vera donna ha proprio il volto e la forza di carattere di Lucia, come si vedrà nel prosieguo della narrazione. E, se avessimo un po' più di dimestichezza con la vita dei santi, o meglio delle sante dei due millenni di cristianità, non avremmo difficoltà ad apprezzare questo personaggio che agisce quasi in sordina nel romanzo, ma agisce e contribuisce in modo significativo a costruire la storia dell'ambiente che la circonda.

Capitolo 2 - Cosa può dire Renzo ai nostri Adolescenti?

"Il primo svegliarsi, dopo una sciagura e un impiccio, è un momento molto amaro" che "sgarbatamente" costringe a fare i conti con la dura realtà.
Questa è l'imbarazzante sorte del vecchio parroco, che ha passato gran parte della notte ad architettare un piano, almeno passabile, per fronteggiare il nuovo nemico; che - si badi bene - non è il famigerato Don Rodrigo, la cui potenza e prepotenza lo esclude automaticamente dal novero di coloro dai quali ci si deve difendere, ma il giovane ventenne Renzo che come vedremo non ha alcun motivo o intenzione di avversare don Abbondio.
La bonomia di Manzoni del primo capitolo nei confronti di Don Abbondio, diventa affettuosa e paterna simpatia nei confronti del giovane Renzo "fotografato" nella sua "lieta furia di un uomo di vent'anni, che deve in quel giorno sposare quella che ama", e "con quella cert'aria di festa e nello stesso tempo di braveria…".Anche in questo capitolo assistiamo all'incontro-scontro tra due posizioni che per la loro diversità si esaltano a vicenda facendo emergere, con un gradevole candore, il temperamento dei personaggi.
La posizione di Don Abbondio, date le premesse del capitolo precedente, è quasi prevedibile perché, pienamente coerente col desiderio fondamentale di salvare la pelle anche contro le legittime esigenze del giovane e irruente Renzo, si mostra sfuggente e misterioso e, naturalmente, difficilmente sopportabile dall'interlocutore.
Quel che diverte maggiormente nel gioco psicologico delle due posizioni contrapposte è il maldestro atteggiamento di difesa del vecchio parroco, che non sfugge all'intuizione del giovane sposo. Quest'ultimo non conoscerà il latinorum, però sa quel che vuole e non fa difficoltà a considerare sospetti i pretesti di Don Abbondio; e, non avendo elementi sufficienti per conoscere la verità che il parroco gli nasconde, si congeda con una promessa, fatta suo malgrado, e con "un'occhiata più espressiva che riverente".
Ma intanto, mentre si allontana dalla canonica, ripensa con perplessità stizzita a quei due occhi grigi che, mentre parlava, eran sempre scappando qua e là…
Interrompe le sue rimuginazioni l'incontro "casuale" con Perpetua che non riesce ad evitare di tradire il "terribile" segreto che don Abbondio è stato costretto a rivelarle e protesta di non sapere niente e "quando non so niente, è come avessi giurato di tacere".
Gustosissimo è il dialogo concitato, immediatamente successivo, tra Renzo, tornato da don Abbondio per avere chiarificazioni, e il vecchio parroco. In questo dialogo Manzoni lascia che siano i personaggi stessi ad agire e parlare e si limita a registrarne le colorite e realistiche reazioni.
La conclusione del serrato "scontro" tra i due segna l'inizio del dramma anche per il giovane Renzo, che non avendo ancora avuto il tempo di mettere a fuoco la nuova situazione, si limita ad un enigmatico e preoccupante "posso aver fallato" davanti a don Abbondio, che, ovviamente non può esserne rassicurato.
Subito dopo il giovane prende la via di casa e mentre cammina ripensa tormentosamente a quanto successo, "con una smania addosso di far qualcosa di strano e di terribile": naturalmente sono mille i pensieri che gli passano per il capo e Manzoni li registra con fedeltà e distacco sia pure affettuoso.
Ma a un certo punto ecco gli balena in mente "E Lucia?". Al ricordo dell'amata, la prospettiva cambia: "I migliori pensieri, cui era avvezza la mente di Renzo, v'entrarono in folla"… anche se subito dopo intervengono le complicazioni, perché tutti i progetti buoni sono stati improvvisamente sconvolti.


Colpisce nell'episodio l'atteggiamento positivo e deciso di Renzo e viene spontaneo paragonarlo a quello dei nostri giovani: sono essi altrettanto spontanei e insieme capaci di tener conto dei vari fattori in gioco?
Cosa penseranno i nostri adolescenti che si accostano per la prima volta al capolavoro manzoniano della lieta furia (pienamente legittima) di Renzo che non ha altra preoccupazione che di pensare al matrimonio?Ma forse più che del matrimonio in sé, che in genere non interessa ai nostri giovani lettori, ciò che deve essere sottoposto alla loro attenzione è l'atteggiamento di Renzo davanti alla difficoltà. Le sue reazioni le conosceremo andando avanti nella lettura; ma, perché siano queste e non altre, può essere un motivo di riflessione stimolante.
Certo ci sono ancora dei giovani fiduciosi (non molti) e capaci di guardare alle difficoltà della vita non come alla fine del mondo, ma come circostanze in cui occorre "rimboccarsi le maniche" e operare per modificarle, se possibile, a loro favore. Ma ciò presume una visione positiva della realtà che è molto difficile trovare in un mondo in cui prevale il nichilismo a tutti i livelli.
Normalmente i nostri giovani, non essendo stati educati a guardare la realtà in tutti i suoi fattori, sono in balia dell'istintività e della violenza; violenza (nel miglior caso solo verbale) contro chi li ostacola o (drammaticamente) contro se stessi, in un autolesionismo che tarpa loro le ali.
In tale contesto culturale, di cui non sono consapevoli (sfortunati - diceva un famoso scrittore - perché non possono rimpiangere quello che non hanno mai avuto!) l'esempio di Renzo, della sua spontaneità controllata dalla educazione di una società che poteva non dare le nozioni elementari ma indispensabili almeno per noi (vedremo che Renzo a malapena sa leggere e non sa affatto scrivere!), però sapeva insegnare a vivere, può essere uno spunto per farli riflettere sul bisogno di significato per la loro vita.
Un'altra osservazione si impone: la prepotenza cui è stato sottoposto questo ventenne è davvero insostenibile e Renzo è legittimamente sconvolto; ma, in tutto il tumulto dei pensieri di vendetta, il solo riaffiorare alla memoria del nome di Lucia, l'amata, tutto diventa più dolce e la sua fondamentale onestà, che si rallegra di non aver tradito, riemerge per un attimo consolante. C'è allora da chiedersi: quanti dei nostri giovani riescono a vedere nel partner il dono di una presenza affettuosa, che illumina di gioia e di positività il cuore, e con la quale affrontare con fiducia un'intera vita? O non sono invece consegnati al "carpe diem" che frantuma le loro vite in attimi di totale dimenticanza o di doloroso non senso? E quanti sarebbero capaci, in tanto tumulto di sentimenti, di fermarsi, anche solo per un attimo, a "gustare" la dolcezza di un rapporto pieno di tenerezza, di fiducia reciproca, costruita con affezione in vista di un rapporto stabile e responsabile?
Davanti a questa totale dissonanza di sentimenti e di capacità di approccio con la realtà mi pare sia utile invitare i giovani a prenderne atto e a vagliare le proposte esistenziali che possano colmare il loro bisogno di significato per la vita.

Capitolo 1 - Don Abbondio e la sua Fragilità

Dopo una inquadratura paesaggistica che fa da sfondo, compare il primo personaggio emblematico de I promessi sposi. Ne conosceremo durante la lettura del romanzo il temperamento; non molto diverso da quello che molti di noi cercano di nascondere, se ne sono consapevoli.
Ma nel frattempo l'incontro con questo che è stato definito anti-eroe ci introduce ulteriormente nel cuore dell'autore che sa guardare alla fragilità umana più o meno inconsapevole con benevolenza e realismo… forse perché riconoscendo in se stesso la medesima fragilità, qualcosa o qualcuno gli ha permesso di riconciliarsi con se stesso.
Più che una descrizione psicologica di cui Manzoni sarebbe stato capacissimo, sono solo i gesti - questi sì, ben descritti e dosati - che tradiscono il carattere di don Abbondio. Non sto qui a ripetere i contenuti, gustosissimi se si ha la pazienza di scoprire sotto quei gesti la tranquillità e l'abitudine di una vita sanza infamia e sanza lodo (Dante, Inferno, III canto) costruita con ben sessant'anni di sforzi eroici per… stare in equilibrio tra le varie e inevitabili prepotenze che la vita ci pone innanzi.


Ma quel che colpisce immediatamente è lo sguardo bonario dell'autore che non punta il dito contro il limite del suo personaggio, ma sembra abbracciarlo con la tenera ironia di un padre che compatisce il figlio anche se non è perfetto come lo vorrebbe.
L'ironia. A questo proposito è interessante chiedersi che spazio abbia l'ironia nei nostri rapporti quotidiani spesso così superficiali, sbrigativi e impietosi…Ci stiamo assimilando a quella mentalità del protesto (meglio: urlo), dunque sono, per parafrasare una frase ben più celebre e ingannatrice (penso dunque sono) e non siamo più nemmeno capaci di guardare con pietà vera a noi stessi… Ma non può accettarsi nella sua fragilità chi non riconosce e non scopre di avere un padre che lo accoglie e lo perdona e perciò lo guarda con ironia e senza moralismo.
Ebbene, Manzoni sa accogliere proprio i personaggi più fragili e "innocenti" nella loro fragilità quasi inconsapevole, con quest'ironia, che noi ormai abbiamo dimenticato, perché il nichilismo della cultura contemporanea l'ha trasformata in sarcasmo duro, cinico o nel miglior caso amaro.
Ma continuiamo a guardare il nostro don Abbondio che durante la sua serena passeggiata quotidiana vide una cosa che non s' aspettava, e che non avrebbe voluto vedere.
E' davvero interessante il gioco psicologico che mette di fronte la prepotenza pura di chi è completamente dimentico di sé perché da tempo ha scordato di essere un uomo libero e responsabile, i Bravi, e l'atteggiamento conciliatore del nostro Don Abbondio. Quante volte anche noi, per un errato concetto di pace, per un buonismo inefficace e dannoso, scendiamo a patti con i violenti?
Con i prepotenti non si ottiene certo granché usando la loro stessa violenza, ma occorre almeno essere forti, cioè decisi nel servire la verità e la giustizia, costi quel che costi.
Scopriamo poi che don Abbondio non agisce così semplicemente perché impaurito (e chi non lo sarebbe stato?), ma perché ha una sua ben precisa visione della realtà, un suo progetto ben chiaro: un sistema di quieto vivere (…) costato tant'anni di studio e di pazienza, e Egli pensa alla morosa dirà nel capitolo successivo pensando a Renzo, ma io penso alla pelle…
Anche il suo, come quello dei Bravi, è un atteggiamento inconsapevole di sé, perché fedele al sistema di vita, non adeguatamente giudicato, che per ben sessant'anni ha retto…
Ma tutti i nodi vengono al pettine e a un certo punto l'esistenza ci costringe a fare i conti con la realtà che non risponde mai ai nostri schemi; e allora tanto vale guardarla per quello che è e affrontarla con onestà intellettuale.
In tutto questo tumulto di avvenimenti che comincia a coinvolgere don Abbondio, domina però lo sguardo affettuoso, ironico e non inquisitore del Manzoni che così ci rende partecipi dell'atteggiamento profondamente cristiano che davanti all'altro non condanna, ma accoglie tutta la fragilità e la perdona.

Capitolo XX - Analisi e Commento

La Struttura
Il ventesimo capitolo è la continuazione del diciannovesimo e si apre con la descrizione dei luoghi in cui vive l’Innominato. Dal punto di vista della struttura, Manzoni alterna diverse situazioni: momenti descrittivi (le due sequenze iniziali), le scene d’azione (il rapimento di Lucia) e alcuni interventi del narratore (il disagio dell’Innominato, la scontentezza, il disgusto di una vita delittuosa).
Inoltre, il ventesimo capitolo, è anche quello in cui don Rodrigo

Capitolo XIX - Analisi e Commento

La Struttura In questo capitolo la narrazione è pressoché interamente costruita su un lungo flashback che spiega un avvenimento di cui si era parlato nel capitolo 18.
Grazie a questa tecnica narrativa il lettore può "partecipare" al dialogo che è avvenuto tra Attilio e il padre provinciale, che ha visto l'allontanamento di Fra Cristoforo.
In questo capitolo inoltre si presenta anche un nuovo personaggio, un potente signore. Un, per usare le parole di Manzoni, "uomo o un diavolo". Si sta parlando dell'Innominato.

Capitolo XVIII - Analisi e Commento

La Struttura
Il 18° capitolo è il capitolo della svolta. Infatti si è conclusa l'avventura di Renzo a Milano, vengono introdotti nuovi personaggi, Renzo cambia vita e, soprattutto il narratore si accinge a ritrovare altri personaggi le cui vicende si erano interrotte, per il lettore, nell'undicesimo capitolo.
Le prime sequenze narrative sono comunque ancora legate al racconto della fuga di Renzo. In effetti il podestà della città di

Capitolo XVII - Analisi e Commento

La Struttura Questo capitolo è direttamente collegato al precedente e ne è quindi la continuazione. Renzo è appena uscito dall'osteria di Gorgonzola in cui, si è visto, è profondamente maturato nell'atteggiamento rispetto all'esperienza avuta nell'osteria "La luna piena". Egli si sta dirigendo verso la salvezza, Bergamo.
La narrazione è suddivisa in due parti:
nella prima si descrive il cammino di Renzo che attraversa un bosco alla disperata ricerca del rumore dell'acqua del fiume Adda. La seconda racconta del ritrovamento, da parte di Renzo, del cugino Bortolo e il conseguente inizio di una nuova vita. 


Capitolo XVI - Analisi e Commento

La Struttura
Anche in questo capitolo, come nel precedente, c'è una continuità narrativa. Infatti il racconto non subisce interruzioni dalla fine del capitolo 15 e l'inizio di questo nuovo capitolo.
Questo capitolo si può suddividere in due parti:
Prima parte: descrive il cammino di Renzo che si allontana dalla città e da eventuali inseguitori [dinamica]; Seconda parte: descrive la sosta di Renzo all'osteria di Gorgonzola [statica];

Capitolo XV - Analisi e Commento

La Struttura
Il capitolo inizia collegandosi temporalmente con quello precedente dando un effetto di narrazione "continua". In questo capitolo l'attenzione del narratore è rivolta vero l'oste, almeno nella prima parte del racconto. In quella centrale e in quella finale prevale invece la figura di Renzo che, una volta sfuggito al notaio criminale riesce a fuggire da Milano.


Capitolo XV

Testo CompletoL'oste, vedendo che il gioco andava in lungo, s'era accostato a Renzo; e pregando, con buona grazia, quegli altri che lo lasciassero stare, l'andava scotendo per un braccio, e cercava di fargli intendere e di persuaderlo che andasse a dormire. Ma Renzo tornava sempre da capo col nome e cognome, e con le gride, e co' buoni figliuoli. Però quelle parole: letto e dormire, ripetute al suo orecchio, gli entraron finalmente in testa; gli fecero sentire un po' più distintamente il bisogno di ciò che significavano, e produssero un

Capitolo XIV

Testo CompletoLa folla rimasta indietro cominciò a sbandarsi, a diramarsi a destra e a sinistra, per questa e per quella strada. Chi andava a casa, a accudire anche alle sue faccende; chi s'allontanava, per respirare un po' al largo, dopo tante ore di stretta; chi, in cerca d'amici, per ciarlare de' gran fatti della giornata. Lo stesso sgombero s'andava facendo dall'altro sbocco della strada, nella quale la gente restò abbastanza rada perché quel drappello di spagnoli potesse, senza trovar resistenza, avanzarsi, e postarsi alla casa del vicario. Accosto

Capitolo XIII

Testo Completo  Lo sventurato vicario stava, in quel momento, facendo un chilo agro e stentato d'un desinare biascicato senza appetito, e senza pan fresco, e attendeva, con gran sospensione, come avesse a finire quella burrasca, lontano però dal sospettar che dovesse cader così spaventosamente addosso a lui. Qualche galantuomo precorse di galoppo la folla, per avvertirlo di quel che gli sovrastava. I servitori, attirati già dal rumore sulla porta, guardavano sgomentati lungo la strada, dalla parte donde il rumore veniva avvicinandosi.

Capitolo XII

Testo CompletoEra quello il second'anno di raccolta scarsa. Nell'antecedente, le provvisioni rimaste degli anni addietro avevan supplito, fino a un certo segno, al difetto; e la popolazione era giunta, non satolla né affamata, ma, certo, affatto sprovveduta, alla messe del 1628, nel quale siamo con la nostra storia. Ora, questa messe tanto desiderata riuscì ancor più misera della precedente, in parte per maggior contrarietà delle stagioni (e questo non solo nel milanese, ma in un buon tratto di paese circonvicino); in parte per colpa degli uomini.

Capitolo XIV - Analisi e Commento

La struttura Si ricollega al capitolo 13 che si era chiuso sulle intenzioni di dimissioni del vicario. La parte centrale del capitolo è invece occupata dalla figura di Renzo che, da spettatore si prepara a diventare protagonista che si materializza in un discorso pubblico, e nel suo trasferimento all'osteria, accompagnato da un falso spadaio.

Capitolo XIII - Analisi e Commento

La struttura La narrazione continua gli eventi descritti nel capitolo 12, ma cambia sia il punto di osservazione che lo spazio. Infatti l'interesse del narratore non è più rivolto verso la folla, di cui sono stati descritti gli umori, bensì sulla figura del vicario, personaggio del tutto impreparato agli eventi che seguiranno. Dallo spazio esterno (strade e piazze), si passa allo spazio interno (casa del vicario).