Testo CompletoLa folla rimasta indietro cominciò a sbandarsi, a diramarsi a destra e
a sinistra, per questa e per quella strada. Chi andava a casa, a
accudire anche alle sue faccende; chi s'allontanava, per respirare un
po' al largo, dopo tante ore di stretta; chi, in cerca d'amici, per
ciarlare de' gran fatti della giornata. Lo stesso sgombero s'andava
facendo dall'altro sbocco della strada, nella quale la gente restò
abbastanza rada perché quel drappello di spagnoli potesse, senza trovar
resistenza, avanzarsi, e postarsi alla casa del vicario. Accosto
a
quella stava ancor condensato il fondaccio, per dir così, del tumulto;
un branco di birboni, che malcontenti d'una fine così fredda e così
imperfetta d'un così grand'apparato, parte brontolavano, parte
bestemmiavano, parte tenevan consiglio, per veder se qualche cosa si
potesse ancora intraprendere; e, come per provare, andavano urtacchiando
e pigiando quella povera porta, ch'era stata di nuovo appuntellata alla
meglio. All'arrivar del drappello, tutti coloro, chi diritto diritto,
chi baloccandosi, e come a stento, se n'andarono dalla parte opposta,
lasciando il campo libero a' soldati, che lo presero, e vi si postarono,
a guardia della casa e della strada. Ma tutte le strade del contorno
erano seminate di crocchi: dove c'eran due o tre persone ferme, se ne
fermavano tre, quattro, venti altre: qui qualcheduno si staccava; là
tutto un crocchio si moveva insieme: era come quella nuvolaglia che
talvolta rimane sparsa, e gira per l'azzurro del cielo, dopo una
burrasca; e fa dire a chi guarda in su: questo tempo non è rimesso bene.
Pensate poi che babilonia di discorsi. Chi raccontava con enfasi i casi
particolari che aveva visti; chi raccontava ciò che lui stesso aveva
fatto; chi si rallegrava che la cosa fosse finita bene, e lodava Ferrer,
e pronosticava guai seri per il vicario; chi, sghignazzando, diceva: -
non abbiate paura, che non l'ammazzeranno: il lupo non mangia la carne
del lupo -; chi più stizzosamente mormorava che non s'eran fatte le cose
a dovere, ch'era un inganno, e ch'era stata una pazzia il far tanto
chiasso, per lasciarsi poi canzonare in quella maniera.
Intanto il sole era andato sotto, le cose diventavan tutte d'un
colore; e molti, stanchi della giornata e annoiati di ciarlare al buio,
tornavano verso casa. Il nostro giovine, dopo avere aiutato il passaggio
della carrozza, finché c'era stato bisogno d'aiuto, e esser passato
anche lui dietro a quella, tra le file de' soldati, come in trionfo, si
rallegrò quando la vide correr liberamente, e fuor di pericolo; fece un
po' di strada con la folla, e n'uscì, alla prima cantonata, per
respirare anche lui un po' liberamente. Fatto ch'ebbe pochi passi al
largo, in mezzo all'agitazione di tanti sentimenti, di tante immagini,
recenti e confuse, sentì un gran bisogno di mangiare e di riposarsi; e
cominciò a guardare in su, da una parte e dall'altra, cercando
un'insegna d'osteria; giacché, per andare al convento de' cappuccini,
era troppo tardi. Camminando così con la testa per aria, si trovò a
ridosso a un crocchio; e fermatosi, sentì che vi discorrevan di
congetture, di disegni, per il giorno dopo. Stato un momento a sentire,
non poté tenersi di non dire anche lui la sua; parendogli che potesse
senza presunzione proporre qualche cosa chi aveva fatto tanto. E
persuaso, per tutto ciò che aveva visto in quel giorno, che ormal, per
mandare a effetto una cosa, bastasse farla entrare in grazia a quelli
che giravano per le strade, - signori miei! - gridò, in tono d'esordio: -
devo dire anch'io il mio debol parere? Il mio debol parere è questo:
che non è solamente nell'affare del pane che si fanno delle bricconerie:
e giacché oggi s'è visto chiaro che, a farsi sentire, s'ottiene quel
che è giusto; bisogna andar avanti così, fin che non si sia messo
rimedio a tutte quelle altre scelleratezze, e che il mondo vada un po'
più da cristiani. Non è vero, signori miei, che c'è una mano di tiranni,
che fanno proprio al rovescio de' dieci comandamenti, e vanno a cercar
la gente quieta, che non pensa a loro, per farle ogni male, e poi hanno
sempre ragione? anzi quando n'hanno fatta una più grossa del solito,
camminano con la testa più alta, che par che gli s'abbia a rifare il
resto? Già anche in Milano ce ne dev'essere la sua parte.
- Pur troppo, - disse una voce.
- Lo dicevo io, - riprese Renzo: - già le storie si raccontano anche
da noi. E poi la cosa parla da sé. Mettiamo, per esempio, che
qualcheduno di costoro che voglio dir io stia un po' in campagna, un po'
in Milano: se è un diavolo là, non vorrà esser un angiolo qui; mi pare.
Dunque mi dicano un poco, signori miei, se hanno mai visto uno di
questi col muso all'inferriata. E quel che è peggio (e questo
lo posso dir io di sicuro), è che le gride ci sono, stampate, per
gastigarli: e non già gride senza costrutto; fatte benissimo, che noi
non potremmo trovar niente di meglio; ci son nominate le bricconerie
chiare, proprio come succedono; e a ciascheduna, il suo buon gastigo. E
dice: sia chi si sia, vili e plebei, e che so io. Ora, andate a dire ai
dottori, scribi e farisei, che vi facciano far giustizia, secondo che
canta la grida: vi dànno retta come il papa ai furfanti: cose da far
girare il cervello a qualunque galantuomo. Si vede dunque chiaramente
che il re, e quelli che comandano, vorrebbero che i birboni fossero
gastigati; ma non se ne fa nulla, perché c'è una lega. Dunque bisogna
romperla; bisogna andar domattina da Ferrer, che quello è un galantuomo,
un signore alla mano; e oggi s'è potuto vedere com'era contento di
trovarsi con la povera gente, e come cercava di sentir le ragioni che
gli venivan dette, e rispondeva con buona grazia. Bisogna andar da
Ferrer, e dirgli come stanno le cose; e io, per la parte mia, gliene
posso raccontar delle belle; che ho visto io, co' miei occhi, una grida
con tanto d'arme in cima, ed era stata fatta da tre di quelli che
possono, che d'ognuno c'era sotto il suo nome bell'e stampato, e uno di
questi nomi era Ferrer, visto da me, co' miei occhi: ora, questa grida
diceva proprio le cose giuste per me; e un dottore al quale io gli dissi
che dunque mi facesse render giustizia, com'era l'intenzione di que'
tre signori, tra i quali c'era anche Ferrer, questo signor dottore, che
m'aveva fatto veder la grida lui medesimo, che è il più bello, ah! ah!
pareva che gli dicessi delle pazzie. Son sicuro che, quando quel caro
vecchione sentirà queste belle cose; che lui non le può saper tutte,
specialmente quelle di fuori; non vorrà più che il mondo vada così, e ci
metterà un buon rimedio. E poi, anche loro, se fanno le gride, devono
aver piacere che s'ubbidisca: che è anche un disprezzo, un pitaffio col
loro nome, contarlo per nulla. E se i prepotenti non vogliono abbassar
la testa, e fanno il pazzo, siam qui noi per aiutarlo, come s'è fatto
oggi. Non dico che deva andar lui in giro, in carrozza, ad acchiappar
tutti i birboni, prepotenti e tiranni: sì; ci vorrebbe l'arca di Noè.
Bisogna che lui comandi a chi tocca, e non solamente in Milano, ma per
tutto, che faccian le cose conforme dicon le gride; e formare un buon
processo addosso a tutti quelli che hanno commesso di quelle
bricconerie; e dove dice prigione, prigione; dove dice galera, galera; e
dire ai podestà che faccian davvero; se no, mandarli a spasso, e
metterne de' meglio: e poi, come dico, ci saremo anche noi a dare una
mano. E ordinare a' dottori che stiano a sentire i poveri e parlino in
difesa della ragione. Dico bene, signori miei?
Renzo aveva parlato tanto di cuore, che, fin dall'esordio, una gran
parte de' radunati, sospeso ogni altro discorso, s'eran rivoltati a lui;
e, a un certo punto, tutti erano divenuti suoi uditori. Un grido
confuso d'applausi, di - bravo: sicuro: ha ragione: è vero pur troppo, -
fu come la risposta dell'udienza. Non mancaron però i critici. - Eh sì,
- diceva uno: - dar retta a' montanari: son tutti avvocati -; e se ne
andava. - Ora, - mormorava un altro, - ogni scalzacane vorrà dir la sua;
e a furia di metter carne a fuoco, non s'avrà il pane a buon mercato;
che è quello per cui ci siam mossi -. Renzo però non sentì che i
complimenti; chi gli prendeva una mano, chi gli prendeva l'altra. - A
rivederci a domani. - Dove? - Sulla piazza del duomo. - Va bene. - Va
bene. - E qualcosa si farà. - E qualcosa si farà.
- Chi è di questi bravi signori che voglia insegnarmi un'osteria, per
mangiare un boccone, e dormire da povero figliuolo? - disse Renzo.
- Son qui io a servirvi, quel bravo giovine, - disse uno, che aveva
ascoltata attentamente la predica, e non aveva detto ancor nulla. -
Conosco appunto un'osteria che farà al caso vostro; e vi raccomanderò al
padrone, che è mio amico, e galantuomo.
- Qui vicino? - domandò Renzo. - Poco distante, - rispose colui.
La radunata si sciolse; e Renzo, dopo molte strette di mani
sconosciute, s'avviò con lo sconosciuto, ringraziandolo della sua
cortesia.
- Di che cosa? - diceva colui: - una mano lava l'altra, e tutt'e due
lavano il viso. Non siamo obbligati a far servizio al prossimo? - E
camminando, faceva a Renzo, in aria di discorso, ora una, ora un'altra
domanda. - Non per sapere i fatti vostri; ma voi mi parete molto
stracco: da che paese venite?
- Vengo, - rispose Renzo, - fino, fino da Lecco.
- Fin da Lecco? Di Lecco siete?
- Di Lecco... cioè del territorio.
- Povero giovine! per quanto ho potuto intendere da' vostri discorsi, ve n'hanno fatte delle grosse.
- Eh! caro il mio galantuomo! ho dovuto parlare con un po' di
politica, per non dire in pubblico i fatti miei; ma... basta, qualche
giorno si saprà; e allora... Ma qui vedo un'insegna d'osteria; e, in
fede mia, non ho voglia d'andar più lontano.
- No, no! venite dov'ho detto io, che c'è poco, - disse la guida: - qui non istareste bene.
- Eh, sì; - rispose il giovine: - non sono un signorino avvezzo a
star nel cotone: qualcosa alla buona da mettere in castello, e un
saccone, mi basta: quel che mi preme è di trovar presto l'uno e l'altro.
Alla provvidenza! - Ed entrò in un usciaccio, sopra il quale pendeva
l'insegna della luna piena. - Bene; vi condurrò qui, giacché vi piace
così, - disse lo sconosciuto; e gli andò dietro.
- Non occorre che v'incomodiate di più, - rispose Renzo. - Però, -
soggiunse, - se venite a bere un bicchiere con me, mi fate piacere.
- Accetterò le vostre grazie, - rispose colui; e andò, come più
pratico del luogo, innanzi a Renzo, per un cortiletto; s'accostò
all'uscio che metteva in cucina, alzò il saliscendi, aprì, e v'entrò col
suo compagno. Due lumi a mano, pendenti da due pertiche attaccate alla
trave del palco, vi spandevano una mezza luce. Molta gente era seduta,
non però in ozio, su due panche, di qua e di là d'una tavola stretta e
lunga, che teneva quasi tutta una parte della stanza: a intervalli,
tovaglie e piatti; a intervalli, carte voltate e rivoltate, dadi buttati
e raccolti; fiaschi e bicchieri per tutto. Si vedevano anche correre berlinghe, reali e parpagliole,
che, se avessero potuto parlare, avrebbero detto probabilmente: "noi
eravamo stamattina nella ciotola d'un fornaio, o nelle tasche di qualche
spettatore del tumulto, che tutt'intento a vedere come andassero gli
affari pubblici, si dimenticava di vigilar le sue faccendole private".
Il chiasso era grande. Un garzone girava innanzi e indietro, in fretta e
in furia, al servizio di quella tavola insieme e tavoliere: l'oste era a
sedere sur una piccola panca, sotto la cappa del cammino, occupato, in
apparenza, in certe figure che faceva e disfaceva nella cenere, con le
molle; ma in realtà intento a tutto ciò che accadeva intorno a lui.
S'alzò, al rumore del saliscendi; e andò incontro ai soprarrivati. Vista
ch'ebbe la guida, "maledetto!" disse tra sé: "che tu m'abbia a venir
sempre tra' piedi, quando meno ti vorrei!" Data poi un'occhiata in
fretta a Renzo, disse, ancora tra sé: "non ti conosco; ma venendo con un
tal cacciatore, o cane o lepre sarai: quando avrai detto due parole, ti
conoscerò". Però, di queste riflessioni nulla trasparve sulla faccia
dell'oste, la quale stava immobile come un ritratto: una faccia pienotta
e lucente, con una barbetta folta, rossiccia, e due occhietti chiari e
fissi.
- Cosa comandan questi signori? - disse ad alta voce.
- Prima di tutto, un buon fiasco di vino sincero, - disse Renzo: - e
poi un boccone -. Così dicendo, si buttò a sedere sur una panca, verso
la cima della tavola, e mandò un - ah! - sonoro, come se volesse dire:
fa bene un po' di panca, dopo essere stato, tanto tempo, ritto e in
faccende. Ma gli venne subito in mente quella panca e quella tavola, a
cui era stato seduto l'ultima volta, con Lucia e con Agnese: e mise un
sospiro. Scosse poi la testa, come per iscacciar quel pensiero: e vide
venir l'oste col vino. Il compagno s'era messo a sedere in faccia a
Renzo. Questo gli mescé subito da bere, dicendo: per bagnar le labbra -.
E riempito l'altro bicchiere, lo tracannò in un sorso.
- Cosa mi darete da mangiare? - disse poi all'oste.
- Ho dello stufato: vi piace? - disse questo.
- Sì, bravo; dello stufato.
- Sarete servito, - disse l'oste a Renzo; e al garzone: - servite
questo forestiero -. E s'avviò verso il cammino. - Ma... - riprese poi,
tornando verso Renzo: - ma pane, non ce n'ho in questa giornata.
- Al pane, - disse Renzo, ad alta voce e ridendo, - ci ha pensato la
provvidenza -. E tirato fuori il terzo e ultimo di que' pani raccolti
sotto la croce di san Dionigi, l'alzò per aria, gridando: - ecco il pane
della provvidenza!
All'esclamazione, molti si voltarono; e vedendo quel trofeo in aria, uno gridò: - viva il pane a buon mercato!
- A buon mercato? - disse Renzo: - gratis et amore.
- Meglio, meglio.
- Ma, - soggiunse subito Renzo, - non vorrei che lor signori
pensassero a male. Non è ch'io l'abbia, come si suol dire, sgraffignato.
L'ho trovato in terra; e se potessi trovare anche il padrone, son
pronto a pagarglielo.
- Bravo! bravo! - gridarono, sghignazzando più forte, i compagnoni; a
nessuno de' quali passò per la mente che quelle parole fossero dette
davvero.
- Credono ch'io canzoni; ma l'è proprio così, - disse Renzo alla sua
guida; e, girando in mano quel pane, soggiunse: - vedete come l'hanno
accomodato; pare una schiacciata: ma ce n'era del prossimo! Se ci si
trovavan di quelli che han l'ossa un po' tenere, saranno stati freschi
-. E subito, divorati tre o quattro bocconi di quel pane, gli mandò
dietro un secondo bicchier di vino; e soggiunse: - da sé non vuol andar
giù questo pane. Non ho avuto mai la gola tanto secca. S'è fatto un gran
gridare!
- Preparate un buon letto a questo bravo giovine, - disse la guida: - perché ha intenzione di dormir qui.
- Volete dormir qui? - domandò l'oste a Renzo, avvicinandosi alla tavola.
- Sicuro, - rispose Renzo: - un letto alla buona; basta che i lenzoli
sian di bucato; perché son povero figliuolo, ma avvezzo alla pulizia.
- Oh, in quanto a questo! - disse l'oste: andò al banco, ch'era in un
angolo della cucina; e ritornò, con un calamaio e un pezzetto di carta
bianca in una mano, e una penna nell'altra.
- Cosa vuol dir questo? - esclamò Renzo, ingoiando un boccone dello
stufato che il garzone gli aveva messo davanti, e sorridendo poi con
maraviglia, soggiunse: - è il lenzolo di bucato, codesto?
L'oste, senza rispondere, posò sulla tavola il calamaio e la carta;
poi appoggiò sulla tavola medesima il braccio sinistro e il gomito
destro; e, con la penna in aria, e il viso alzato verso Renzo, gli
disse: - fatemi il piacere di dirmi il vostro nome, cognome e patria.
- Cosa? - disse Renzo: - cosa c'entrano codeste storie col letto?
- Io fo il mio dovere, - disse l'oste, guardando in viso alla guida: -
noi siamo obbligati a render conto di tutte le persone che vengono a
alloggiar da noi: nome e cognome, e di che nazione sarà, a che negozio viene, se ha seco armi... quanto tempo ha di fermarsi in questa città... Son parole della grida.
Prima di rispondere, Renzo votò un altro bicchiere: era il terzo; e
d'ora in poi ho paura che non li potremo più contare. Poi disse: - ah
ah! avete la grida! E io fo conto d'esser dottor di legge; e allora so
subito che caso si fa delle gride.
- Dico davvero, - disse l'oste, sempre guardando il muto compagno di
Renzo; e, andato di nuovo al banco, ne levò dalla cassetta un gran
foglio, un proprio esemplare della grida; e venne a spiegarlo davanti
agli occhi di Renzo.
- Ah! ecco! - esclamò questo, alzando con una mano il bicchiere
riempito di nuovo, e rivotandolo subito, e stendendo poi l'altra mano,
con un dito teso, verso la grida: - ecco quel bel foglio di messale. Me
ne rallegro moltissimo. La conosco quell'arme; so cosa vuol dire quella
faccia d'ariano, con la corda al collo -. (In cima alle gride si metteva
allora l'arme del governatore; e in quella di don Gonzalo Fernandez de
Cordova, spiccava un re moro incatenato per la gola). - Vuol dire,
quella faccia: comanda chi può, e ubbidisce chi vuole. Quando questa
faccia avrà fatto andare in galera il signor don... basta, lo so io;
come dice in un altro foglio di messale compagno a questo; quando avrà
fatto in maniera che un giovine onesto possa sposare una giovine onesta
che è contenta di sposarlo, allora le dirò il mio nome a questa faccia;
le darò anche un bacio per di più. Posso aver delle buone ragioni per
non dirlo, il mio nome. Oh bella! E se un furfantone, che avesse al suo
comando una mano d'altri furfanti: perché se fosse solo... - e qui finì
la frase con un gesto: - se un furfantone volesse saper dov'io sono, per
farmi qualche brutto tiro, domando io se questa faccia si moverebbe per
aiutarmi. Devo dire i fatti miei! Anche questa è nuova. Son venuto a
Milano per confessarmi, supponiamo; ma voglio confessarmi da un padre
cappuccino, per modo di dire, e non da un oste.
L'oste stava zitto, e seguitava a guardar la guida, la quale non
faceva dimostrazione di sorte veruna. Renzo, ci dispiace il dirlo,
tracannò un altro bicchiere, e proseguì: - ti porterò una ragione, il
mio caro oste, che ti capaciterà. Se le gride che parlan bene, in favore
de' buoni cristiani, non contano; tanto meno devon contare quelle che
parlan male. Dunque leva tutti quest'imbrogli, e porta in vece un altro
fiasco; perché questo è fesso -. Così dicendo, lo percosse leggermente
con le nocca, e soggiunse: - senti, senti, oste, come crocchia.
Anche questa volta, Renzo aveva, a poco a poco, attirata l'attenzione
di quelli che gli stavan d'intorno: e anche questa volta, fu applaudito
dal suo uditorio.
- Cosa devo fare? - disse l'oste, guardando quello sconosciuto, che non era tale per lui.
- Via, via, - gridaron molti di que' compagnoni: - ha ragione quel
giovine: son tutte angherie, trappole, impicci: legge nuova Oggi, legge
nuova. In mezzo a queste grida, lo sconosciuto, dando all'oste
un'occhiata di rimprovero, per quell'interrogazione troppo scoperta,
disse: - lasciatelo un po' fare a suo modo: non fate scene.
- Ho fatto il mio dovere, - disse l'oste, forte; e poi tra se: "ora ho le spalle al muro". E prese la carta, la penna, il calamaio, la grida, e il fiasco voto, per consegnarlo al garzone.
- Porta del medesimo, - disse Renzo: - che lo trovo galantuomo; e lo
metteremo a letto come l'altro, senza domandargli nome e cognome, e di
che nazione sarà, e cosa viene a fare, e se ha a stare un pezzo in
questa città.
- Del medesimo, - disse l'oste al garzone, dandogli il fiasco; e
ritornò a sedere sotto la cappa del cammino. "Altro che lepre!" pensava,
istoriando di nuovo la cenere: "e in che mani sei capitato! Pezzo
d'asino! se vuoi affogare, affoga; ma l'oste della luna piena non deve
andarne di mezzo, per le tue pazzie".
Renzo ringraziò la guida, e tutti quegli altri che avevan prese le
sue parti. - Bravi amici! - disse: - ora vedo proprio che i galantuomini
si dànno la mano, e si sostengono -. Poi, spianando la destra per aria
sopra la tavola, e mettendosi di nuovo in attitudine di predicatore, -
gran cosa, - esclamò, - che tutti quelli che regolano il mondo, voglian
fare entrar per tutto carta, penna e calamaio! Sempre la penna per aria!
Grande smania che hanno que' signori d'adoprar la penna!
- Ehi, quel galantuomo di campagna! volete saperne la ragione? - disse ridendo uno di que' giocatori, che vinceva.
- Sentiamo un poco, - rispose Renzo.
- La ragione è questa, - disse colui: - che que' signori son loro che
mangian l'oche, e si trovan lì tante penne, tante penne, che qualcosa
bisogna che ne facciano.
Tutti si misero a ridere, fuor che il compagno che perdeva.
- To', - disse Renzo: - è un poeta costui. Ce n'è anche qui de'
poeti: già ne nasce per tutto. N'ho una vena anch'io, e qualche volta ne
dico delle curiose... ma quando le cose vanno bene.
Per capire questa baggianata del povero Renzo, bisogna sapere che,
presso il volgo di Milano, e del contado ancora più, poeta non significa
già, come per tutti i galantuomini, un sacro ingegno, un abitator di
Pindo, un allievo delle Muse; vuol dire un cervello bizzarro e un po'
balzano, che, ne' discorsi e ne' fatti, abbia più dell'arguto e del
singolare che del ragionevole. Tanto quel guastamestieri del volgo è
ardito a manomettere le parole, e a far dir loro le cose più lontane dal
loro legittimo significato! Perché, vi domando io, cosa ci ha che fare
poeta con cervello balzano?
- Ma la ragione giusta la dirò io, - soggiunse Renzo: - è perché la
penna la tengon loro: e così, le parole che dicon loro, volan via, e
spariscono; le parole che dice un povero figliuolo, stanno attenti bene,
e presto presto le infilzan per aria, con quella penna, e te le
inchiodano sulla carta, per servirsene, a tempo e luogo. Hanno poi anche
un'altra malizia; che, quando vogliono imbrogliare un povero figliuolo,
che non abbia studiato, ma che abbia un po' di... so io quel che voglio
dire... - e, per farsi intendere, andava picchiando, e come arietando
la fronte con la punta dell'indice; - e s'accorgono che comincia a capir
l'imbroglio, taffete, buttan dentro nel discorso qualche parola in
latino, per fargli perdere il filo, per confondergli la testa. Basta; se
ne deve smetter dell'usanze! Oggi, a buon conto, s'è fatto tutto in
volgare, e senza carta, penna e calamaio; e domani, se la gente saprà
regolarsi, se ne farà anche delle meglio: senza torcere un capello a
nessuno, però; tutto per via di giustizia.
Intanto alcuni di que' compagnoni s'eran rimessi a giocare, altri a
mangiare, molti a gridare; alcuni se n'andavano; altra gente arrivava;
l'oste badava agli uni e agli altri: tutte cose che non hanno che fare
con la nostra storia. Anche la sconosciuta guida non vedeva l'ora
d'andarsene; non aveva, a quel che paresse, nessun affare in quel luogo;
eppure non voleva partire prima d'aver chiacchierato un altro poco con
Renzo in particolare. Si voltò a lui, riattaccò il discorso del pane; e
dopo alcune di quelle frasi che, da qualche tempo, correvano per tutte
le bocche, venne a metter fuori un suo progetto. - Eh! se comandassi io,
- disse, - lo troverei il verso di fare andar le cose bene.
- Come vorreste fare? - domandò Renzo, guardandolo con due occhietti
brillanti più del dovere, e storcendo un po' la bocca, come per star più
attento.
- Come vorrei fare? - disse colui: - vorrei che ci fosse pane per tutti; tanto per i poveri, come per i ricchi.
- Ah! così va bene, - disse Renzo.
- Ecco come farei. Una meta onesta, che tutti ci potessero campare. E
poi, distribuire il pane in ragione delle bocche: perché c'è
degl'ingordi indiscreti, che vorrebbero tutto per loro, e fanno a ruffa
raffa, pigliano a buon conto; e poi manca il pane alla povera gente.
Dunque dividere il pane. E come si fa? Ecco: dare un bel biglietto a
ogni famiglia, in proporzion delle bocche, per andare a prendere il pane
dal fornaio. A me, per esempio, dovrebbero rilasciare un biglietto in
questa forma: Ambrogio Fusella, di professione spadaio, con moglie e
quattro figliuoli, tutti in età da mangiar pane (notate bene): gli si
dia pane tanto, e paghi soldi tanti. Ma far le cose giuste, sempre in
ragion delle bocche. A voi, per esempio, dovrebbero fare un biglietto
per... il vostro nome?
- Lorenzo Tramaglino, - disse il giovine; il quale, invaghito del
progetto, non fece attenzione ch'era tutto fondato su carta, penna e
calamaio; e che, per metterlo in opera, la prima cosa doveva essere di
raccogliere i nomi delle persone.
- Benissimo, - disse lo sconosciuto: - ma avete moglie e figliuoli?
- Dovrei bene... figliuoli no... troppo presto... ma la moglie... se il mondo andasse come dovrebbe andare...
- Ah siete solo! Dunque abbiate pazienza, ma una porzione più piccola.
- È giusto; ma se presto, come spero... e con l'aiuto di Dio.. Basta; quando avessi moglie anch'io?
- Allora si cambia il biglietto, e si cresce la porzione. Come v'ho
detto; sempre in ragion delle bocche, - disse lo sconosciuto, alzandosi.
- Così va bene, - gridò Renzo; e continuò, gridando e battendo il pugno sulla tavola: - e perché non la fanno una legge così?
- Cosa volete che vi dica? Intanto vi do la buona notte, e me ne vo;
perché penso che la moglie e i figliuoli m'aspetteranno da un pezzo.
- Un altro gocciolino, un altro gocciolino, - gridava Renzo,
riempiendo in fretta il bicchiere di colui; e subito alzatosi, e
acchiappatolo per una falda del farsetto, tirava forte, per farlo seder
di nuovo. - Un altro gocciolino: non mi fate quest'affronto.
Ma l'amico, con una stratta, si liberò, e lasciando Renzo fare un
guazzabuglio d'istanze e di rimproveri, disse di nuovo: - buona notte, -
e se n'andò. Renzo seguitava ancora a predicargli, che quello era già
in istrada; e poi ripiombò sulla panca. Fissò gli occhi su quel
bicchiere che aveva riempito; e, vedendo passar davanti alla tavola il
garzone, gli accennò di fermarsi, come se avesse qualche affare da
comunicargli; poi gli accennò il bicchiere, e con una pronunzia lenta e
solenne, spiccando le parole in un certo modo particolare, disse: -
ecco, l'avevo preparato per quel galantuomo: vedete; pieno raso, proprio
da amico; ma non l'ha voluto. Alle volte, la gente ha dell'idee
curiose. Io non ci ho colpa: il mio buon cuore l'ho fatto vedere. Ora,
giacché la cosa è fatta, non bisogna lasciarlo andare a male -. Così
detto, lo prese, e lo votò in un sorso.
- Ho inteso, - disse il garzone, andandosene.
- Ah! avete inteso anche voi, - riprese Renzo: - dunque è vero. Quando le ragioni son giuste...!
Qui è necessario tutto l'amore, che portiamo alla verità, per farci
proseguire fedelmente un racconto di così poco onore a un personaggio
tanto principale, si potrebbe quasi dire al primo uomo della nostra
storia. Per questa stessa ragione d'imparzialità, dobbiamo però anche
avvertire ch'era la prima volta, che a Renzo avvenisse un caso simile: e
appunto questo suo non esser uso a stravizi fu cagione in gran parte
che il primo gli riuscisse così fatale. Que' pochi bicchieri che aveva
buttati giù da principio, l'uno dietro l'altro, contro il suo solito,
parte per quell'arsione che si sentiva, parte per una certa alterazione
d'animo, che non gli lasciava far nulla con misura, gli diedero subito
alla testa: a un bevitore un po' esercitato non avrebbero fatto altro
che levargli la sete. Su questo il nostro anonimo fa una osservazione,
che noi ripeteremo: e conti quel che può contare. Le abitudini temperate
e oneste, dice, recano anche questo vantaggio, che, quanto più sono
inveterate e radicate in un uomo, tanto più facilmente, appena appena se
n'allontani, se ne risente subito; dimodoché se ne ricorda poi per un
pezzo; e anche uno sproposito gli serve di scola.
Comunque sia, quando que' primi fumi furono saliti alla testa di
Renzo, vino e parole continuarono a andare, l'uno in giù e l'altre in
su, senza misura né regola: e, al punto a cui l'abbiam lasciato, stava
già come poteva. Si sentiva una gran voglia di parlare: ascoltatori, o
almeno uomini presenti che potesse prender per tali, non ne mancava; e,
per qualche tempo, anche le parole eran venute via senza farsi pregare, e
s'eran lasciate collocare in un certo qual ordine. Ma a poco a poco,
quella faccenda di finir le frasi cominciò a divenirgli fieramente
difficile. Il pensiero, che s'era presentato vivo e risoluto alla sua
mente, s'annebbiava e svaniva tutt'a un tratto; e la parola, dopo
essersi fatta aspettare un pezzo, non era quella che fosse al caso. In
queste angustie, per uno di que' falsi istinti che, in tante cose,
rovinan gli uomini, ricorreva a quel benedetto fiasco. Ma di che aiuto
gli potesse essere il fiasco, in una tale circostanza, chi ha fior di
senno lo dica.
Noi riferiremo soltanto alcune delle moltissime parole che mandò
fuori, in quella sciagurata sera: le molte più che tralasciamo,
disdirebbero troppo; perché, non solo non hanno senso, ma non fanno
vista d'averlo: condizione necessaria in un libro stampato.
- Ah oste, oste! - ricominciò, accompagnandolo con l'occhio intorno
alla tavola, o sotto la cappa del cammino; talvolta fissandolo dove non
era, e parlando sempre in mezzo al chiasso della brigata: - oste che tu
sei! Non posso mandarla giù... quel tiro del nome, cognome e negozio. A
un figliuolo par mio...! Non ti sei portato bene. Che soddisfazione, che
sugo, che gusto... di mettere in carta un povero figliuolo? Parlo bene,
signori? Gli osti dovrebbero tenere dalla parte de' buoni figliuoli...
Senti, senti, oste; ti voglio fare un paragone... per la ragione...
Ridono eh? Ho un po' di brio, sì... ma le ragioni le dico giuste. Dimmi
un poco; chi è che ti manda avanti la bottega? I poveri figliuoli, n'è
vero? dico bene? Guarda un po' se que' signori delle gride vengono mai
da te a bere un bicchierino.
- Tutta gente che beve acqua, - disse un vicino di Renzo.
- Vogliono stare in sé, - soggiunse un altro, - per poter dir le bugie a dovere.
- Ah! - gridò Renzo: - ora è il poeta che ha parlato. Dunque
intendete anche voi altri le mie ragioni. Rispondi dunque, oste: e
Ferrer, che è il meglio di tutti, è mai venuto qui a fare un brindisi, e
a spendere un becco d'un quattrino? E quel cane assassino di don...?
Sto zitto, perché sono in cervello anche troppo. Ferrer e il padre
Crrr... so io, son due galantuomini; ma ce n'è pochi de' galantuomini. I
vecchi peggio de' giovani; e i giovani... peggio ancora de' vecchi.
Però, son contento che non si sia fatto sangue: oibò; barbarie, da
lasciarle fare al boia. Pane; oh questo sì. Ne ho ricevuti degli urtoni;
ma... ne ho anche dati. Largo! abbondanza! viva!... Eppure, anche
Ferrer... qualche parolina in latino... siés baraòs trapolorum...
Maledetto vizio! Viva! giustizia! pane! ah, ecco le parole giuste!...
Là ci volevano que' galantuomini... quando scappò fuori quel maledetto
ton ton ton, e poi ancora ton ton ton. Non si sarebbe fuggiti, ve',
allora. Tenerlo lì quel signor curato... So io a chi penso!
A questa parola, abbassò la testa, e stette qualche tempo, come
assorto in un pensiero: poi mise un gran sospiro, e alzò il viso, con
due occhi inumiditi e lustri, con un certo accoramento così svenevole,
così sguaiato, che guai se chi n'era l'oggetto avesse potuto vederlo un
momento. Ma quegli omacci che già avevan cominciato a prendersi spasso
dell'eloquenza appassionata e imbrogliata di Renzo, tanto più se ne
presero della sua aria compunta; i più vicini dicevano agli altri:
guardate; e tutti si voltavano a lui; tanto che divenne lo zimbello
della brigata. Non già che tutti fossero nel loro buon senno, o nel loro
qual si fosse senno ordinario; ma, per dire il vero, nessuno n'era
tanto uscito, quanto il povero Renzo: e per di più era contadino. Si
misero, or l'uno or l'altro, a stuzzicarlo con domande sciocche e
grossolane, con cerimonie canzonatorie. Renzo, ora dava segno d'averselo
per male, ora prendeva la cosa in ischerzo, ora, senza badare a tutte
quelle voci, parlava di tutt'altro, ora rispondeva, ora interrogava;
sempre a salti, e fuor di proposito. Per buona sorte, in quel
vaneggiamento, gli era però rimasta come un'attenzione istintiva a
scansare i nomi delle persone; dimodoché anche quello che doveva esser
più altamente fitto nella sua memoria, non fu proferito: ché troppo ci
dispiacerebbe se quel nome, per il quale anche noi sentiamo un po'
d'affetto e di riverenza, fosse stato strascinato per quelle boccacce,
fosse divenuto trastullo di quelle lingue sciagurate.
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