Capitolo XXXV - Analisi e Commento

Luoghi: il lazzaretto di Milano
Tempo: dal mezzogiorno al pomeriggio del 31 agosto 1630

La struttura del capitolo rispecchia quella tipica della fiaba al momento della lotta con l’antagonista. La struttura è tripartita, scandita in tre momenti narrativi che corrispondono a quelli della fiaba:
1. Lo spettacolo del lazzaretto rappresenta il momento delle prove da superare;
2. L’incontro di Renzo con fra Cristoforo rappresenta l’incontro dell’eroe con il suo aiutante;
3. L’incontro di Renzo con don Rodrigo rappresenta la lotta dell’eroe con l’antagonista e il raggiungimento della sua piena maturità.

RENZO NEL LAZZARETTO:  il capitolo si apre con la visione soggettiva di Renzo su immagini e azioni caotiche, ripetitive e incessanti nella confusione angosciosa all’interno del lazzaretto. La prospettiva si amplia a comprendere l’aria e il cielo: la natura è vista nel suo aspetto ostile, quasi complice della peste, e incombe sugli uomini sospesa come se il tempo si fosse fermato. Il ritmo si sviluppa monotono in periodi cadenzati nella descrizione di vari elementi e la natura diventa lo specchio degli uomini vinti dal male. Il linguaggio si fa solenne nell’uso transitivo, poetico del verbo “piovere” ( pioveva un calore morto e pesante), con l’ossimoro calore morto, che acquista quasi fisicità con l’aggettivo pesante. Gran parte del simbolismo del brano si gioca sull’assenza di luce: il buio, l’addensarsi delle tenebre, anche se è pieno giorno, rappresentano, come sempre nel viaggio di Renzo, presagi catastrofici. L’immobilità della scena è interrotta dall’unico movimento della rondine, un movimento di fuga dal  mondo dagli uomini che sono contaminati e perciò inavvicinabili.

IL RECINTO DEI BAMBINI: la scena del recinto delle balie è ripresa dal De Pestilentia di Borromeo. L’ospedale si preannuncia a Renzo prima con l’udito, un misto singolare di vagiti e di belati, poi con lo sguardo, attraverso un largo spiraglio. È uno spazio chiuso, protetto, dove l’idea della morte, pur presente, non è tangibile, perché i bambini sono vivi e loro urla per fame sono vitali. È il regno del femminile, un regno di pace, un regno in cui l’amore è posto al di sopra dell’interesse. Se Renzo non riesce a staccarsi dalla visione è perché sembra egli stesso nutrirsi di quelle immagini, appagare la sua anima afflitta con scene di vita e amore e nello stesso tempo trovarvi un’immagine di Lucia.

L’INCONTRO CON FRA CRISTOFORO: il frate svolge ancora una volta il ruolo di padre e rappresenta la guida morale di Renzo, che diventa degno della sua sposa solo quando fa proprie le idee del suo “aiutante”, quando si identifica con lui. Quando il giovane si troverà di fronte al nemico, quindi, avrà un’arma inconsueta, il perdono. Il premio della vittoria non sarà, come nelle fiabe, la conquista dell’oggetto desiderato, ma la capacità di accettare il volere di Dio e di lodarlo qualunque esso sia, seppure Lucia fosse morta. La vera meta di Renzo si rivela, quindi, essere il perdono e l’amore cristiano.

DON RODRIGO MORENTE:  l’ultima apparizione di don Rodrigo nel romanzo riscatta un po’ il suo personaggio attraverso l’uso della lingua. Il ritratto di lui morente ha forti connotati simbolici: gli occhi spalancati privi di vista verso l’esterno rimandano all’idea di una vista interiore e alla speranza di un ravvedimento; la solitudine di una morte tra folli deliranti è il simbolo della solitudine del malvagio, am lo stile solenne restituisce dignità al moribondo e il senso del sacro alla sua morte, pur nel realismo spietato della scena.

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