Testo Completo
Appena infatti ebbe Renzo passata la soglia del lazzeretto e preso a
diritta, per ritrovar la viottola di dov'era sboccato la mattina sotto
le mura, principiò come una grandine di goccioloni radi e impetuosi,
che, battendo e risaltando sulla strada bianca e arida, sollevavano un
minuto polverìo; in un momento, diventaron fitti; e prima che arrivasse
alla viottola, la veniva giù a secchie. Renzo, in vece d'inquietarsene,
ci sguazzava dentro, se la godeva in quella rinfrescata, in quel
susurrìo, in quel brulichìo dell'erbe e delle foglie, tremolanti,
gocciolanti, rinverdite, lustre; metteva certi
respironi larghi e pieni;
e in quel risolvimento della natura sentiva come più liberamente e più
vivamente quello che s'era fatto nel suo destino.
Ma quanto più schietto e intero sarebbe stato questo sentimento, se
Renzo avesse potuto indovinare quel che si vide pochi giorni dopo: che
quell'acqua portava via il contagio; che, dopo quella, il lazzeretto, se
non era per restituire ai viventi tutti i viventi che conteneva, almeno
non n'avrebbe più ingoiati altri; che, tra una settimana, si vedrebbero
riaperti usci e botteghe, non si parlerebbe quasi più che di
quarantina; e della peste non rimarrebbe se non qualche resticciolo qua e
là; quello strascico che un tal flagello lasciava sempre dietro a sé
per qualche tempo.
Andava dunque il nostro viaggiatore allegramente, senza aver
disegnato né dove, né come, né quando, né se avesse da fermarsi la
notte, premuroso soltanto di portarsi avanti, d'arrivar presto al suo
paese, di trovar con chi parlare, a chi raccontare, soprattutto di poter
presto rimettersi in cammino per Pasturo, in cerca d'Agnese. Andava,
con la mente tutta sottosopra dalle cose di quel giorno; ma di sotto le
miserie, gli orrori, i pericoli, veniva sempre a galla un pensierino:
l'ho trovata; è guarita; è mia! E allora faceva uno sgambetto, e con ciò
dava un'annaffiata all'intorno, come un can barbone uscito dall'acqua;
qualche volta si contentava d'una fregatina di mani; e avanti, con più
ardore di prima. Guardando per la strada, raccattava, per dir così, i
pensieri, che ci aveva lasciati la mattina e il giorno avanti, nel
venire; e con più piacere quelli appunto che allora aveva più cercato di
scacciare, i dubbi, le difficoltà, trovarla, trovarla viva, tra tanti
morti e moribondi! "E l'ho trovata viva!" concludeva. Si rimetteva col
pensiero nelle circostanze più terribili di quella giornata; si figurava
con quel martello in mano: ci sarà o non ci sarà? e una risposta così
poco allegra; e non aver nemmeno il tempo di masticarla, che addosso
quella furia di matti birboni; e quel lazzeretto, quel mare! lì ti
volevo a trovarla! E averla trovata! Ritornava su quel momento quando fu
finita di passare la processione de' convalescenti: che momento! che
crepacore non trovarcela! e ora non gliene importava più nulla. E quel
quartiere delle donne! E là dietro a quella capanna, quando meno se
l'aspettava, quella voce, quella voce proprio! E vederla, vederla
levata! Ma che? c'era ancora quel nodo del voto, e più stretto che mai.
Sciolto anche questo. E quell'odio contro don Rodrigo, quel rodìo
continuo che esacerbava tutti i guai, e avvelenava tutte le
consolazioni, scomparso anche quello. Talmenteché non saprei immaginare
una contentezza più viva, se non fosse stata l'incertezza intorno ad
Agnese, il tristo presentimento intorno al padre Cristoforo, e quel
trovarsi ancora in mezzo a una peste.
Arrivò a Sesto, sulla sera; né pareva che l'acqua volesse cessare.
Ma, sentendosi più in gambe che mai, e con tante difficoltà di trovar
dove alloggiare, e così inzuppato, non ci pensò neppure. La sola cosa
che l'incomodasse, era un grand'appetito: ché una consolazione come
quella gli avrebbe fatto smaltire altro che la poca minestra del
cappuccino. Guardò se trovasse anche qui una bottega di fornaio; ne vide
una; ebbe due pani con le molle, e con quell'altre cerimonie. Uno in
tasca e l'altro alla bocca, e avanti.
Quando passò per Monza, era notte fatta: nonostante, gli riuscì di
trovar la porta che metteva sulla strada giusta. Ma meno questo, che,
per dir la verità, era un gran merito, potete immaginarvi come fosse
quella strada, e come andasse facendosi di momento in momento. Affondata
(com'eran tutte; e dobbiamo averlo detto altrove) tra due rive, quasi
un letto di fiume, si sarebbe a quell'ora potuta dire, se non un fiume,
una gora davvero; e ogni tanto pozze, da volerci del buono e del bello a
levarne i piedi, non che le scarpe. Ma Renzo n'usciva come poteva,
senz'atti d'impazienza, senza parolacce, senza pentimenti; pensando che
ogni passo, per quanto costasse, lo conduceva avanti, e che l'acqua
cesserebbe quando a Dio piacesse, e che, a suo tempo, spunterebbe il
giorno, e che la strada che faceva intanto, allora sarebbe fatta.
E dirò anche che non ci pensava se non proprio quando non poteva far
di meno. Eran distrazioni queste; il gran lavoro della sua mente era di
riandare la storia di que' tristi anni passati: tant'imbrogli, tante
traversìe, tanti momenti in cui era stato per perdere anche la speranza,
e fare andata ogni cosa; e di contrapporci l'immaginazioni d'un
avvenire così diverso: e l'arrivar di Lucia, e le nozze, e il metter su
casa, e il raccontarsi le vicende passate, e tutta la vita.
Come la facesse quando trovava due strade; se quella poca pratica,
con quel poco barlume, fossero quelli che l'aiutassero a trovar sempre
la buona, o se l'indovinasse sempre alla ventura, non ve lo saprei dire;
ché lui medesimo, il quale soleva raccontar la sua storia molto per
minuto, lunghettamente anzi che no (e tutto conduce a credere che il
nostro anonimo l'avesse sentita da lui più d'una volta), lui medesimo, a
questo punto, diceva che, di quella notte, non se ne rammentava che
come se l'avesse passata in letto a sognare. Il fatto sta che, sul finir
di essa, si trovò alla riva dell'Adda.
Non era mai spiovuto; ma, a un certo tempo, da diluvio era diventata
pioggia, e poi un'acquerugiola fine fine, cheta cheta, ugual uguale: i
nuvoli alti e radi stendevano un velo non interrotto, ma leggiero e
diafano; e il lume del crepuscolo fece vedere a Renzo il paese
d'intorno. C'era dentro il suo; e quel che sentì, a quella vista, non si
saprebbe spiegare. Altro non vi so dire, se non che que' monti, quel Resegone
vicino, il territorio di Lecco, era diventato tutto come roba sua.
Diede un'occhiata anche a sé, e si trovò un po' strano, quale, per dir
la verità, da quel che si sentiva, s'immaginava già di dover parere:
sciupata e attaccata addosso ogni cosa: dalla testa alla vita, tutto un
fradiciume, una grondaia; dalla vita alla punta de' piedi, melletta e
mota: le parti dove non ce ne fosse si sarebbero potute chiamare esse
zacchere e schizzi. E se si fosse visto tutt'intero in uno specchio, con
la tesa del cappello floscia e cascante, e i capelli stesi e incollati
sul viso, si sarebbe fatto ancor più specie. In quanto a stanco, lo
poteva essere, ma non ne sapeva nulla: e il frescolino dell'alba
aggiunto a quello della notte e di quel poco bagno, non gli dava altro
che una fierezza, una voglia di camminar più presto.
È a Pescate; costeggia quell'ultimo tratto dell'Adda, dando però
un'occhiata malinconica a Pescarenico; passa il ponte; per istrade e
campi, arriva in un momento alla casa dell'ospite amico. Questo, che
s'era levato allora, e stava sull'uscio, a guardare il tempo, alzò gli
occhi a quella figura così inzuppata, così infangata, diciam pure così
lercia, e insieme così viva e disinvolta: a' suoi giorni non aveva visto
un uomo peggio conciato e più contento.
- Ohe! - disse: - già qui? e con questo tempo? Com'è andata?
- La c'è, - disse Renzo: - la c'è: la c'è.
- Sana?
- Guarita, che è meglio. Devo ringraziare il Signore e la Madonna fin
che campo. Ma cose grandi, cose di fuoco: ti racconterò poi tutto.
- Ma come sei conciato!
- Son bello eh?
- A dir la verità, potresti adoprare il da tanto in su, per lavare il
da tanto in giù. Ma, aspetta, aspetta; che ti faccia un buon fuoco.
- Non dico di no. Sai dove la m'ha preso? proprio alla porta del lazzeretto. Ma niente! il tempo il suo mestiere, e io il mio.
L'amico andò e tornò con due bracciate di stipa: ne mise una in
terra, l'altra sul focolare, e, con un po' di brace rimasta della sera
avanti, fece presto una bella fiammata. Renzo intanto s'era levato il
cappello, e, dopo averlo scosso due o tre volte, l'aveva buttato in
terra: e, non così facilmente, s'era tirato via anche il farsetto. Levò
poi dal taschino de' calzoni il coltello, col fodero tutto fradicio, che
pareva stato in molle; lo mise su un panchetto, e disse: - anche costui
è accomodato a dovere; ma l'è acqua! l'è acqua! sia ringraziato il
Signore... Sono stato lì lì...! Ti dirò poi -. E si fregava le mani. -
Ora fammi un altro piacere, - soggiunse: - quel fagottino che ho
lasciato su in camera, va' a prendermelo, ché prima che s'asciughi
questa roba che ho addosso...!
Tornato col fagotto, l'amico disse: - penso che avrai anche appetito:
capisco che da bere, per la strada, non te ne sarà mancato; ma da
mangiare...
- Ho trovato da comprar due pani, ieri sul tardi; ma, per dir la verità, non m'hanno toccato un dente.
- Lascia fare, - disse l'amico; mise l'acqua in un paiolo, che
attaccò poi alla catena; e soggiunse: - vado a mungere: quando tornerò
col latte, l'acqua sarà all'ordine; e si fa una buona polenta. Tu
intanto fa' il tuo comodo.
Renzo, rimasto solo, si levò, non senza fatica, il resto de' panni,
che gli s'eran come appiccicati addosso; s'asciugò, si rivestì da capo a
piedi. L'amico tornò, e andò al suo paiolo: Renzo intanto si mise a
sedere, aspettando.
- Ora sento che sono stanco, - disse: - ma è una bella tirata! Però
questo è nulla! Ne ho da raccontartene per tutta la giornata. Com'è
conciato Milano! Le cose che bisogna vedere! Le cose che bisogna
toccare! Cose da farsi poi schifo a se medesimo. Sto per dire che non ci
voleva meno di quel bucatino che ho avuto. E quel che m'hanno voluto
fare que' signori di laggiù! Sentirai. Ma se tu vedessi il lazzeretto!
C'è da perdersi nelle miserie. Basta; ti racconterò tutto... E la c'è, e
la verrà qui, e sarà mia moglie; e tu devi far da testimonio, e, peste o
non peste, almeno qualche ora, voglio che stiamo allegri.
Del resto mantenne ciò, che aveva detto all'amico, di voler
raccontargliene per tutta la giornata; tanto più, che, avendo sempre
continuato a piovigginare, questo la passò tutta in casa, parte seduto
accanto all'amico, parte in faccende intorno a un suo piccolo tino, e a
una botticina, e ad altri lavori, in preparazione della vendemmia; ne'
quali Renzo non lasciò di dargli una mano; ché, come soleva dire, era di
quelli che si stancano più a star senza far nulla, che a lavorare. Non
poté però tenersi di non fare una scappatina alla casa d'Agnese, per
rivedere una certa finestra, e per dare anche lì una fregatina di mani.
Tornò senza essere stato visto da nessuno; e andò subito a letto. S'alzò
prima che facesse giorno; e, vedendo cessata l'acqua, se non ritornato
il sereno, si mise in cammino per Pasturo.
Era ancor presto quando ci arrivò: ché non aveva meno fretta e voglia
di finire, di quel che possa averne il lettore. Cercò d'Agnese; sentì
che stava bene, e gli fu insegnata una casuccia isolata dove abitava. Ci
andò; la chiamò dalla strada: a una tal voce, essa s'affacciò di corsa
alla finestra; e, mentre stava a bocca aperta per mandar fuori non so
che parola, non so che suono, Renzo la prevenne dicendo: - Lucia è
guarita: l'ho veduta ierlaltro; vi saluta; verrà presto. E poi ne ho, ne
ho delle cose da dirvi.
Tra la sorpresa dell'apparizione, e la contentezza della notizia, e
la smania di saperne di più, Agnese cominciava ora un'esclamazione, ora
una domanda, senza finir nulla: poi, dimenticando le precauzioni ch'era
solita a prendere da molto tempo, disse: - vengo ad aprirvi.
- Aspettate: e la peste? - disse Renzo: - voi non l'avete avuta, credo.
- Io no: e voi?
- Io sì; ma voi dunque dovete aver giudizio. Vengo da Milano; e,
sentirete, sono proprio stato nel contagio fino agli occhi. È vero che
mi son mutato tutto da capo a piedi; ma l'è una porcheria che s'attacca
alle volte come un malefizio. E giacché il Signore v'ha preservata
finora, voglio che stiate riguardata fin che non è finito
quest'influsso; perché siete la nostra mamma: e voglio che campiamo
insieme un bel pezzo allegramente, a conto del gran patire che abbiam
fatto, almeno io.
- Ma... - cominciava Agnese.
- Eh! - interruppe Renzo: - non c'è ma che tenga. So quel che volete
dire; ma sentirete, sentirete, che de' ma non ce n'è più. Andiamo in
qualche luogo all'aperto, dove si possa parlar con comodo, senza
pericolo; e sentirete.
Agnese gl'indicò un orto ch'era dietro alla casa; e soggiunse: -
entrate lì, e vedrete che c'è due panche, l'una in faccia all'altra, che
paion messe apposta. Io vengo subito.
Renzo andò a mettersi a sedere sur una: un momento dopo, Agnese si
trovò lì sull'altra: e son certo che, se il lettore, informato come è
delle cose antecedenti, avesse potuto trovarsi lì in terzo, a veder con
gli occhi quella conversazione così animata, a sentir con gli orecchi
que' racconti, quelle domande, quelle spiegazioni, quell'esclamare, quel
condolersi, quel rallegrarsi, e don Rodrigo, e il padre Cristoforo, e
tutto il resto, e quelle descrizioni dell'avvenire, chiare e positive
come quelle del passato, son certo, dico, che ci avrebbe preso gusto, e
sarebbe stato l'ultimo a venir via. Ma d'averla sulla carta tutta quella
conversazione, con parole mute, fatte d'inchiostro, e senza trovarci un
solo fatto nuovo, son di parere che non se ne curi molto, e che gli
piaccia più d'indovinarla da sé. La conclusione fu che s'anderebbe a
metter su casa tutti insieme in quel paese del bergamasco dove Renzo
aveva già un buon avviamento: in quanto al tempo, non si poteva decider
nulla, perché dipendeva dalla peste, e da altre circostanze: appena
cessato il pericolo, Agnese tornerebbe a casa, ad aspettarvi Lucia, o
Lucia ve l'aspetterebbe: intanto Renzo farebbe spesso qualche altra
corsa a Pasturo, a veder la sua mamma, e a tenerla informata di quel che
potesse accadere.
Prima di partire, offrì anche a lei danari, dicendo: - gli ho qui
tutti, vedete, que' tali: avevo fatto voto anch'io di non toccarli, fin
che la cosa non fosse venuta in chiaro. Ora, se n'avete bisogno, portate
qui una scodella d'acqua e aceto; vi butto dentro i cinquanta scudi
belli e lampanti.
- No, no, - disse Agnese: - ne ho ancora più del bisogno per me: i vostri, serbateli, che saran buoni per metter su casa.
Renzo tornò al paese con questa consolazione di più d'aver trovata
sana e salva una persona tanto cara. Stette il rimanente di quella
giornata, e la notte, in casa dell'amico; il giorno dopo, in viaggio di
nuovo, ma da un'altra parte, cioè verso il paese adottivo.
Trovò Bortolo, in buona salute anche lui, e in minor timore di
perderla; ché, in que' pochi giorni, le cose, anche là, avevan preso
rapidamente una bonissima piega. Pochi eran quelli che s'ammalavano; e
il male non era più quello; non più que' lividi mortali, né quella
violenza di sintomi; ma febbriciattole, intermittenti la maggior parte,
con al più qualche piccol bubbone scolorito, che si curava come un
fignolo ordinario. Già l'aspetto del paese compariva mutato; i rimasti
vivi cominciavano a uscir fuori, a contarsi tra loro, a farsi a vicenda
condoglianze e congratulazioni. Si parlava già di ravviare i lavori: i
padroni pensavano già a cercare e a caparrare operai, e in quell'arti
principalmente dove il numero n'era stato scarso anche prima del
contagio, com'era quella della seta. Renzo, senza fare il lezioso,
promise (salve però le debite approvazioni) al cugino di rimettersi al
lavoro, quando verrebbe accompagnato, a stabilirsi in paese. S'occupò
intanto de' preparativi più necessari: trovò una casa più grande; cosa
divenuta pur troppo facile e poco costosa; e la fornì di mobili e
d'attrezzi, intaccando questa volta il tesoro, ma senza farci un gran
buco, ché tutto era a buon mercato, essendoci molta più roba che gente
che la comprassero.
Dopo non so quanti giorni, ritornò al paese nativo, che trovò ancor
più notabilmente cambiato in bene. Trottò subito a Pasturo; trovò Agnese
rincoraggita affatto, e disposta a ritornare a casa quando si fosse; di
maniera che ce la condusse lui: né diremo quali fossero i loro
sentimenti, quali le parole, al rivedere insieme que' luoghi.
Agnese trovò ogni cosa come l'aveva lasciata. Sicché non poté far a
meno di non dire che, questa volta, trattandosi d'una povera vedova e
d'una povera fanciulla, avevan fatto la guardia gli angioli.
- E l'altra volta, - soggiungeva, - che si sarebbe creduto che il
Signore guardasse altrove, e non pensasse a noi, giacché lasciava portar
via il povero fatto nostro; ecco che ha fatto vedere il contrario,
perché m'ha mandato da un'altra parte di bei danari, con cui ho potuto
rimettere ogni cosa. Dico ogni cosa, e non dico bene; perché il corredo
di Lucia che coloro avevan portato via bell'e nuovo, insieme col resto,
quello mancava ancora; ma ecco che ora ci viene da un'altra parte. Chi
m'avesse detto, quando io m'arrapinavo tanto a allestir quell'altro: tu
credi di lavorar per Lucia: eh povera donna! lavori per chi non sai: sa
il cielo, questa tela, questi panni, a che sorte di creature anderanno
indosso: quelli per Lucia, il corredo davvero che ha da servire per lei,
ci penserà un'anima buona, la quale tu non sai né anche che la sia in
questo mondo.
Il primo pensiero d'Agnese fu quello di preparare nella sua povera
casuccia l'alloggio il più decente che potesse, a quell'anima buona: poi
andò in cerca di seta da annaspare; e lavorando ingannava il tempo.
Renzo, dal canto suo, non passò in ozio que' giorni già tanto lunghi
per sé: sapeva far due mestieri per buona sorte; si rimise a quello del
contadino. Parte aiutava il suo ospite, per il quale era una gran
fortuna l'avere in tal tempo spesso al suo comando un'opera, e un'opera
di quell'abilità; parte coltivava, anzi dissodava l'orticello d'Agnese,
trasandato affatto nell'assenza di lei. In quanto al suo proprio podere,
non se n'occupava punto, dicendo ch'era una parrucca troppo arruffata, e
che ci voleva altro che due braccia a ravviarla. E non ci metteva
neppure i piedi; come né anche in casa: ché gli avrebbe fatto male a
vedere quella desolazione; e aveva già preso il partito di disfarsi
d'ogni cosa, a qualunque prezzo, e d'impiegar nella nuova patria quel
tanto che ne potrebbe ricavare.
Se i rimasti vivi erano, l'uno per l'altro, come morti resuscitati,
Renzo, per quelli del suo paese, lo era, come a dire, due volte: ognuno
gli faceva accoglienze e congratulazioni, ognuno voleva sentir da lui la
sua storia. Direte forse: come andava col bando? L'andava benone: lui
non ci pensava quasi più, supponendo che quelli i quali avrebbero potuto
eseguirlo, non ci pensassero più né anche loro: e non s'ingannava. E
questo non nasceva solo dalla peste che aveva fatto monte di tante cose;
ma era, come s'è potuto vedere anche in vari luoghi di questa storia,
cosa comune a que' tempi, che i decreti, tanto generali quanto speciali,
contro le persone, se non c'era qualche animosità privata e potente che
li tenesse vivi, e li facesse valere, rimanevano spesso senza effetto,
quando non l'avessero avuto sul primo momento; come palle di schioppo,
che, se non fanno colpo, restano in terra, dove non dànno fastidio a
nessuno. Conseguenza necessaria della gran facilità con cui li
seminavano que' decreti. L'attività dell'uomo è limitata; e tutto il di
più che c'era nel comandare, doveva tornare in tanto meno nell'eseguire.
Quel che va nelle maniche, non può andar ne' gheroni.
Chi volesse anche sapere come Renzo se la passasse con don Abbondio,
in quel tempo d'aspetto, dirò che stavano alla larga l'uno dall'altro:
don Abbondio, per timore di sentire intonar qualcosa di matrimonio: e,
al solo pensarci, si vedeva davanti agli occhi don Rodrigo da una parte,
co' suoi bravi, il cardinale dall'altra, co' suoi argomenti: Renzo,
perché aveva fissato di non parlargliene che al momento di concludere,
non volendo risicare di farlo inalberar prima del tempo, di suscitar,
chi sa mai? qualche difficoltà, e d'imbrogliar le cose con chiacchiere
inutili. Le sue chiacchiere, le faceva con Agnese. - Credete voi che
verrà presto? - domandava l'uno. - Io spero di sì, - rispondeva l'altro:
e spesso quello che aveva data la risposta, faceva poco dopo la domanda
medesima. E con queste e con simili furberie, s'ingegnavano a far
passare il tempo, che pareva loro più lungo, di mano in mano che n'era
più passato.
Al lettore noi lo faremo passare in un momento tutto quel tempo,
dicendo in compendio che, qualche giorno dopo la visita di Renzo al
lazzeretto, Lucia n'uscì con la buona vedova; che, essendo stata
ordinata una quarantina generale, la fecero insieme, rinchiuse nella
casa di quest'ultima; che una parte del tempo fu spesa in allestire il
corredo di Lucia, al quale, dopo aver fatto un po' di cerimonie, dovette
lavorare anche lei; e che, terminata che fu la quarantina, la vedova
lasciò in consegna il fondaco e la casa a quel suo fratello commissario;
e si fecero i preparativi per il viaggio. Potremmo anche soggiunger
subito: partirono, arrivarono, e quel che segue; ma, con tutta la
volontà che abbiamo di secondar la fretta del lettore, ci son tre cose
appartenenti a quell'intervallo di tempo, che non vorremmo passar sotto
silenzio; e, per due almeno, crediamo che il lettore stesso dirà che
avremmo fatto male.
La prima, che, quando Lucia tornò a parlare alla vedova delle sue
avventure, più in particolare, e più ordinatamente di quel che avesse
potuto in quell'agitazione della prima confidenza, e fece menzione più
espressa della signora che l'aveva ricoverata nel monastero di Monza,
venne a sapere di costei cose che, dandole la chiave di molti misteri,
le riempiron l'animo d'una dolorosa e paurosa maraviglia. Seppe dalla
vedova che la sciagurata, caduta in sospetto d'atrocissimi fatti, era
stata, per ordine del cardinale, trasportata in un monastero di Milano;
che lì, dopo molto infuriare e dibattersi, s'era ravveduta, s'era
accusata; e che la sua vita attuale era supplizio volontario tale, che
nessuno, a meno di non togliergliela, ne avrebbe potuto trovare un più
severo. Chi volesse conoscere un po' più in particolare questa trista
storia, la troverà nel libro e al luogo che abbiam citato altrove, a
proposito della stessa persona (Ripam. Hist. Pat., Dec. V, Lib. VI, Cap. III.).
L'altra cosa è che Lucia, domandando del padre Cristoforo a tutti i
cappuccini che poté vedere nel lazzeretto, sentì, con più dolore che
maraviglia, ch'era morto di peste.
Finalmente, prima di partire, avrebbe anche desiderato di saper
qualcosa de' suoi antichi padroni, e di fare, come diceva, un atto del
suo dovere, se alcuno ne rimaneva. La vedova l'accompagnò alla casa,
dove seppero che l'uno e l'altra erano andati tra que' più. Di donna
Prassede, quando si dice ch'era morta, è detto tutto; ma intorno a don
Ferrante, trattandosi ch'era stato dotto, l'anonimo ha creduto
d'estendersi un po' più; e noi, a nostro rischio, trascriveremo a un di
presso quello che ne lasciò scritto.
Dice adunque che, al primo parlar che si fece di peste, don Ferrante
fu uno de' più risoluti a negarla, e che sostenne costantemente fino
all'ultimo, quell'opinione; non già con ischiamazzi, come il popolo; ma
con ragionamenti, ai quali nessuno potrà dire almeno che mancasse la
concatenazione.
- In rerum natura, - diceva, - non ci son che due generi di
cose: sostanze e accidenti; e se io provo che il contagio non può esser
né l'uno né l'altro, avrò provato che non esiste, che è una chimera. E
son qui. Le sostanze sono, o spirituali, o materiali. Che il contagio
sia sostanza spirituale, è uno sproposito che nessuno vorrebbe
sostenere; sicché è inutile parlarne. Le sostanze materiali sono, o
semplici, o composte. Ora, sostanza semplice il contagio non è; e si
dimostra in quattro parole. Non è sostanza aerea; perché, se fosse tale,
in vece di passar da un corpo all'altro, volerebbe subito alla sua
sfera. Non è acquea; perché bagnerebbe, e verrebbe asciugata da' venti.
Non è ignea; perché brucerebbe. Non è terrea; perché sarebbe visibile.
Sostanza composta, neppure; perché a ogni modo dovrebbe esser sensibile
all'occhio o al tatto; e questo contagio, chi l'ha veduto? chi l'ha
toccato? Riman da vedere se possa essere accidente. Peggio che peggio.
Ci dicono questi signori dottori che si comunica da un corpo all'altro;
ché questo è il loro achille, questo il pretesto per far tante
prescrizioni senza costrutto. Ora, supponendolo accidente, verrebbe a
essere un accidente trasportato: due parole che fanno ai calci, non
essendoci, in tutta la filosofia, cosa più chiara, più liquida di
questa: che un accidente non può passar da un soggetto all'altro. Che
se, per evitar questa Scilla, si riducono a dire che sia accidente
prodotto, dànno in Cariddi: perché, se è prodotto, dunque non si
comunica, non si propaga, come vanno blaterando. Posti questi princìpi,
cosa serve venirci tanto a parlare di vibici, d'esantemi, d'antraci...?
- Tutte corbellerie, - scappò fuori una volta un tale.
- No, no, - riprese don Ferrante: - non dico questo: la scienza è
scienza; solo bisogna saperla adoprare. Vibici, esantemi, antraci,
parotidi, bubboni violacei, furoncoli nigricanti, son tutte parole
rispettabili, che hanno il loro significato bell'e buono; ma dico che
non han che fare con la questione. Chi nega che ci possa essere di
queste cose, anzi che ce ne sia? Tutto sta a veder di dove vengano.
Qui cominciavano i guai anche per don Ferrante. Fin che non faceva
che dare addosso all'opinion del contagio, trovava per tutto orecchi
attenti e ben disposti: perché non si può spiegare quanto sia grande
l'autorità d'un dotto di professione, allorché vuol dimostrare agli
altri le cose di cui sono già persuasi. Ma quando veniva a distinguere, e
a voler dimostrare che l'errore di que' medici non consisteva già
nell'affermare che ci fosse un male terribile e generale; ma
nell'assegnarne la cagione; allora (parlo de' primi tempi, in cui non si
voleva sentir discorrere di peste), allora, in vece d'orecchi, trovava
lingue ribelli, intrattabili; allora, di predicare a distesa era finita;
e la sua dottrina non poteva più metterla fuori, che a pezzi e bocconi.
- La c'è pur troppo la vera cagione, - diceva; - e son costretti a
riconoscerla anche quelli che sostengono poi quell'altra così in aria...
La neghino un poco, se possono, quella fatale congiunzione di Saturno
con Giove. E quando mai s'è sentito dire che l'influenze si
propaghino...? E lor signori mi vorranno negar l'influenze? Mi
negheranno che ci sian degli astri? O mi vorranno dire che stian lassù a
far nulla, come tante capocchie di spilli ficcati in un guancialino?...
Ma quel che non mi può entrare, è di questi signori medici; confessare
che ci troviamo sotto una congiunzione così maligna, e poi venirci a
dire, con faccia tosta: non toccate qui, non toccate là, e sarete
sicuri! Come se questo schivare il contatto materiale de' corpi terreni,
potesse impedir l'effetto virtuale de' corpi celesti! E tanto
affannarsi a bruciar de' cenci! Povera gente! brucerete Giove? brucerete
Saturno?
His fretus, vale a dire su questi bei fondamenti, non prese
nessuna precauzione contro la peste; gli s'attaccò; andò a letto, a
morire, come un eroe di Metastasio, prendendosela con le stelle.
E quella sua famosa libreria? È forse ancora dispersa su per i muriccioli.
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