LUOGHI: Milano, un paese del bergamasco, il paese di Bortolo, il paesello di Renzo, Monza, Greco.
TEMPO: fine agosto 1630, analessi dal dicembre 1628 al luglio 1630.
Contrariamente alla narrativa tradizionale, nei Promessi Sposi
protagonista e antagonista non si incontrano mai faccia a faccia.
Tuttavia essi si incontrano, per così dire, nella pagina, in alcuni
capitoli la cui struttura sottolinea la loro relazione, in particolare
l’XI e il XXXIII. Il parallelismo tra i due capitoli è notevole:
entrambi hanno struttura bipartita, che vede in scena prima don Rodrigo,
poi Renzo, ma la proporzione tra le due parti s’inverte: nell’XI a don
Rodrigo è dedicato uno spazio doppio rispetto a Renzo, nel XXXIII è il
contrario. Le due strutture risultano pertanto speculari nell’ampiezza
delle due parti. Rispetto al contenuto, è evidente un parallelismo tra
le azioni di Renzo e quelle di don Rodrigo, rispettivamente protagonista
e antagonista del romanzo.
La struttura del capitolo XXXIII si rivela anche circolare: ha inizio,
infatti, nella casa di Milano di don Rodrigo e finisce con l’arrivo a
Milano di Renzo. Il protagonista si avvicina al suo antagonista, come
prima, nel capitolo XI, arrivando a Milano, se ne allontanava: i due
capitoli finiscono così con l’avere, nel loro insieme, una struttura
simmetrica.
Quest’avvicinamento all’antagonista è la premessa per l’ultima tappa di Renzo, la più difficile, a cui segue il lieto fine.
IL RITORNO A CASA DI DON RODRIGO: la sua entrata è
evidenziata dalla posizione di rilievo che il suo nome assume come
soggetto posto dopo il complemento di tempo e il verbo. Lui che non ha
mai riso finora, è reduce da una serata in cui ha fatto ridere con la
cinica parodia di un elogio funebre per il conte Attilio, anche se il
riso si rivela come mezzo potente per scongiurare la paura e il senso di
impotenza di fronte ad un nemico sentito come invincibile, quindi si
conferma il vigliacco di sempre. Con la morte di Attilio e con quella
annunciata di don Rodrigo, inizia il lungo elenco delle morti che
sembrano rivelare la giustizia divina e che, comunicate spesso
freddamente, a volte persino con ironia, non suscitano pietà nel
lettore.
IL SOGNO DI DON RODRIGO: la notte di don Rodrigo
richiama altre notti: quella di Renzo alla ricerca dell’Adda, quella di
Lucia al castellaccio e soprattutto quella dell’innominato. Mentre
l’innominato resta sempre cosciente e si guarda dentro fino nel
profondo, don Rodrigo percepisce il suo conflitto inconscio solo in
sogno e neppure di fronte alla morte riesce ad elaborarlo a livello
cosciente.
IL RISVEGLIO E LA RICHIESTA DI AIUTO AL GRISO: il
verbo “vedere” iniziale (si vide) crea una concatenazione con la chiusa
del paragrafo precedente, estendendo la visione da un particolare (il
sozzo bubbone) all’intera persona. Di fronte alla morte don Rodrigo
diventa solo l’uomo, privo del ruolo sociale su cui ha fondato la
propria identità. Così cambia anche il suo rapporto col Griso e il
linguaggio che adopera: chiede come piacere ciò che solitamente
ordinava, mentre il Griso, al contrario, non può ancora rivelare il suo
nuovo rapporto col padrone per non allontanarlo. Il suo tradimento si
svela con lenta progressione attraverso le sensazioni di don Rodrigo,
soprattutto uditive, con una focalizzazione interna che aumenta
l’angoscia, facendo prima sentire ai personaggi, e solo poi vedere il
pericolo incombente. Il passaggio dal passato remoto al presente
attualizza la scena davanti agli occhi del lettore, che quasi si
identifica con il personaggio.
IL TRADIMENTO DEL GRISO: in questa realtà sottosopra, i
monatti si comportano al contrario di come dovrebbero, cioè come ladri e
criminali; il Griso, camuffato finora da fedel e fidatissimo, si
dimostra abominevole, mentre il signore perde il suo nobiliare don per
essere solo lo sventurato Rodrigo, che i monatti, uno per i piedi e
l’altro per le spalle, posano sur una barella come miserabil peso da
portar via.
IL RITORNO DI RENZO AL PAESE DI BORTOLO: il passo funge
da snodo narrativo prima della nuova tappa di Renzo. Inizia con una
metalessi narrativa, che sottolinea come la storia del protagonista sia
strettamente connessa con quella dell’antagonista e nasca dal
danneggiamento provocato dall’antagonista. Anche qui il nome di Renzo
che rientra in scena è posto alla fine del lungo periodo, in rilievo.
Segue con un’analessi il sommario dei cinque o sei mesi precedenti e
del suo ritorno al paese di Bortolo, dove diventa aiutante del cugino.
Il narratore conclude con un’altra metalessi, che è un appello al
lettore e che sottolinea la libertà del narratore nel costruire i
personaggi e il suo rifiuto di crearne un ideale solo per accontentare
il lettore.
IL RITORNO A CASA DI RENZO: per la prima volta Renzo
parte di propria iniziativa, non costretto dalle circostanze, e prepara
il suo viaggio con estrema cura. Dopo il realismo dei preparativi,
l’atmosfera si fa quasi surreale: tra gente malata che languiva o moriva
e gli ancora sani guardinghi, i guariti si aggirano franchi e risoluti,
come i cavalieri d’un’epoca del medio evo. In questo paragone si
scorge il sarcasmo di Manzoni, insofferente alla predilezione di tanti
romantici per il Medioevo e i suoi cavalieri erranti. Renzo è tutt’altro
che uno di quei cavalieri e la sua sicurezza, ora, si deve solo al suo
essere guarito dalla peste,che gli consente di passare indenne in mezzo
agli appestati. La natura rigogliosa, come avvenne nel capitolo IV con
fra Cristoforo, contrasta con le immagini umane e ci ricorda come Renzo e
fra Cristoforo costituiscano un doppio.
LA VIGNA DI RENZO: la descrizione della vigna ripropone
l’esperienza visiva di Agnese, don Abbondio e Perpetua nel viaggio di
ritorno dal castello dell’innominato nel capitolo XXX, ma così
amplificata e dettagliata, per la precisione dei termini botanici, da
sembrare un divertimento per Manzoni. La descrizione non è condotta dal
punta di vista di Renzo, ma assume piuttosto valore allegorico, come
immagine stessa del male agli occhi di Renzo e della condizione umana:
se non si controllano i propri istinti, si è destinati a distruggersi a
vicenda. Questa descrizione mancava nel Fermo e Lucia.
LA PARTENZA PER MILANO: nel suo secondo viaggio verso
Milano, Renzo rivive esperienze già vissute con un atteggiamento più
maturo: sceglie e riconosce la strada, compra due pani anziché
raccattarli da terra, si avventura tra i campi senza perdersi e cerca il
luogo più adatto per dormire evitando le osterie. L’atmosfera narrativa
mantiene un che di fiabesco, ma il percorso è sotto controllo e lo
conduce in un luogo reale e conosciuto, sotto le mura di Milano.
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