Testo Completo
Il castello dell'innominato era a cavaliere a una valle angusta e
uggiosa, sulla cima d'un poggio che sporge in fuori da un'aspra giogaia
di monti, ed è, non si saprebbe dir bene, se congiunto ad essa o
separatone, da un mucchio di massi e di dirupi, e da un andirivieni di
tane e di precipizi, che si prolungano anche dalle due parti. Quella che
guarda la valle è la sola praticabile; un pendìo piuttosto erto, ma
uguale e continuato; a prati in alto; nelle falde a campi, sparsi qua e
là di casucce. Il fondo è un letto di ciottoloni, dove scorre un
rigagnolo o torrentaccio, secondo la stagione: allora serviva di confine
ai due stati. I gioghi opposti, che formano, per dir
così, l'altra
parete della valle, hanno anch'essi un po' di falda coltivata; il resto è
schegge e macigni, erte ripide, senza strada e nude, meno qualche
cespuglio ne' fessi e sui ciglioni.
Dall'alto del castellaccio, come l'aquila dal suo nido insanguinato,
il selvaggio signore dominava all'intorno tutto lo spazio dove piede
d'uomo potesse posarsi, e non vedeva mai nessuno al di sopra di sé, né
più in alto. Dando un'occhiata in giro, scorreva tutto quel recinto, i
pendìi, il fondo, le strade praticate là dentro. Quella che, a gomiti e a
giravolte, saliva al terribile domicilio, si spiegava davanti a chi
guardasse di lassù, come un nastro serpeggiante: dalle finestre, dalle
feritoie, poteva il signore contare a suo bell'agio i passi di chi
veniva, e spianargli l'arme contro, cento volte. E anche d'una grossa
compagnia, avrebbe potuto, con quella guarnigione di bravi che teneva
lassù, stenderne sul sentiero, o farne ruzzolare al fondo parecchi,
prima che uno arrivasse a toccar la cima. Del resto, non che lassù, ma
neppure nella valle, e neppur di passaggio, non ardiva metter piede
nessuno che non fosse ben visto dal padrone del castello. Il birro poi
che vi si fosse lasciato vedere, sarebbe stato trattato come una spia
nemica che venga colta in un accampamento. Si raccontavano le storie
tragiche degli ultimi che avevano voluto tentar l'impresa; ma eran già
storie antiche; e nessuno de' giovani si rammentava d'aver veduto nella
valle uno di quella razza, né vivo, né morto.
Tale è la descrizione che l'anonimo fa del luogo: del nome, nulla;
anzi, per non metterci sulla strada di scoprirlo, non dice niente del
viaggio di don Rodrigo, e lo porta addirittura nel mezzo della valle,
appiè del poggio, all'imboccatura dell'erto e tortuoso sentiero. Lì
c'era una taverna, che si sarebbe anche potuta chiamare un corpo di
guardia. Sur una vecchia insegna che pendeva sopra l'uscio, era dipinto
da tutt'e due le parti un sole raggiante; ma la voce pubblica, che
talvolta ripete i nomi come le vengono insegnati, talvolta li rifà a
modo suo, non chiamava quella taverna che col nome della Malanotte.
Al rumore d'una cavalcatura che s'avvicinava, comparve sulla soglia
un ragazzaccio, armato come un saracino; e data un'occhiata, entrò ad
informare tre sgherri, che stavan giocando, con certe carte sudice e
piegate in forma di tegoli. Colui che pareva il capo s'alzò, s'affacciò
all'uscio, e, riconosciuto un amico del suo padrone, lo salutò
rispettosamente. Don Rodrigo, resogli con molto garbo il saluto, domandò
se il signore si trovasse al castello; e rispostogli da quel
caporalaccio, che credeva di sì, smontò da cavallo, e buttò la briglia
al Tiradritto, uno del suo seguito. Si levò lo schioppo, e lo consegnò
al Montanarolo, come per isgravarsi d'un peso inutile, e salir più
lesto; ma, in realtà, perché sapeva bene, che su quell'erta non era
permesso d'andar con lo schioppo. Si cavò poi di tasca alcune berlinghe,
e le diede al Tanabuso, dicendogli: - voi altri state ad aspettarmi; e
intanto starete un po' allegri con questa brava gente -. Cavò finalmente
alcuni scudi d'oro, e li mise in mano al caporalaccio, assegnandone
metà a lui, e metà da dividersi tra i suoi uomini. Finalmente, col
Griso, che aveva anche lui posato lo schioppo, cominciò a piedi la
salita. Intanto i tre bravi sopraddetti, e lo Squinternotto ch'era il
quarto (oh! vedete che bei nomi, da serbarceli con tanta cura), rimasero
coi tre dell'innominato, e con quel ragazzo allevato alle forche, a
giocare, a trincare, e a raccontarsi a vicenda le loro prodezze.
Un altro bravaccio dell'innominato, che saliva, raggiunse poco dopo
don Rodrigo; lo guardò, lo riconobbe, e s'accompagnò con lui; e gli
risparmiò così la noia di dire il suo nome, e di rendere altro conto di
sé a quant'altri avrebbe incontrati, che non lo conoscessero. Arrivato
al castello, e introdotto (lasciando però il Griso alla porta), fu fatto
passare per un andirivieni di corridoi bui, e per varie sale tappezzate
di moschetti, di sciabole e di partigiane, e in ognuna delle quali
c'era di guardia qualche bravo; e, dopo avere alquanto aspettato, fu
ammesso in quella dove si trovava l'innominato.
Questo gli andò incontro, rendendogli il saluto, e insieme
guardandogli le mani e il viso, come faceva per abitudine, e ormai quasi
involontariamente, a chiunque venisse da lui, per quanto fosse de' più
vecchi e provati amici. Era grande, bruno, calvo; bianchi i pochi
capelli che gli rimanevano; rugosa la faccia: a prima vista, gli si
sarebbe dato più de' sessant'anni che aveva; ma il contegno, le mosse,
la durezza risentita de' lineamenti, il lampeggiar sinistro, ma vivo
degli occhi, indicavano una forza di corpo e di animo, che sarebbe stata
straordinaria in un giovine.
Don Rodrigo disse che veniva per consiglio e per aiuto; che,
trovandosi in un impegno difficile, dal quale il suo onore non gli
permetteva di ritirarsi, s'era ricordato delle promesse di quell'uomo
che non prometteva mai troppo, né invano; e si fece ad esporre il suo
scellerato imbroglio. L'innominato che ne sapeva già qualcosa, ma in
confuso, stette a sentire con attenzione, e come curioso di simili
storie, e per essere in questa mischiato un nome a lui noto e
odiosissimo, quello di fra Cristoforo, nemico aperto de' tiranni, e in
parole e, dove poteva, in opere. Don Rodrigo, sapendo con chi parlava,
si mise poi a esagerare le difficoltà dell'impresa; la distanza del
luogo, un monastero, la signora!... A questo, l'innominato, come se un
demonio nascosto nel suo cuore gliel avesse comandato, interruppe
subitamente, dicendo che prendeva l'impresa sopra di sé. Prese l'appunto
del nome della nostra povera Lucia, e licenziò don Rodrigo, dicendo: -
tra poco avrete da me l'avviso di quel che dovrete fare.
Se il lettore si ricorda di quello sciagurato Egidio che abitava
accanto al monastero dove la povera Lucia stava ricoverata, sappia ora
che costui era uno de' più stretti ed intimi colleghi di scelleratezze
che avesse l'innominato: perciò questo aveva lasciata correre così
prontamente e risolutamente la sua parola. Ma appena rimase solo, si
trovò, non dirò pentito, ma indispettito d'averla data. Già da qualche
tempo cominciava a provare, se non un rimorso, una cert'uggia delle sue
scelleratezze. Quelle tante ch'erano ammontate, se non sulla sua
coscienza, almeno nella sua memoria, si risvegliavano ogni volta che ne
commettesse una di nuovo, e si presentavano all'animo brutte e troppe:
era come il crescere e crescere d'un peso già incomodo. Una certa
ripugnanza provata ne' primi delitti, e vinta poi, e scomparsa quasi
affatto, tornava ora a farsi sentire. Ma in que' primi tempi, l'immagine
d'un avvenire lungo, indeterminato, il sentimento d'una vitalità
vigorosa, riempivano l'animo d'una fiducia spensierata: ora all'opposto,
i pensieri dell'avvenire eran quelli che rendevano più noioso il
passato. "Invecchiare! morire! e poi?" E, cosa notabile! l'immagine
della morte, che, in un pericolo vicino, a fronte d'un nemico, soleva
raddoppiar gli spiriti di quell'uomo, e infondergli un'ira piena di
coraggio, quella stessa immagine, apparendogli nel silenzio della notte,
nella sicurezza del suo castello, gli metteva addosso una costernazione
repentina. Non era la morte minacciata da un avversario mortale anche
lui; non si poteva rispingerla con armi migliori, e con un braccio più
pronto; veniva sola, nasceva di dentro; era forse ancor lontana, ma
faceva un passo ogni momento; e, intanto che la mente combatteva
dolorosamente per allontanarne il pensiero, quella s'avvicinava. Ne'
primi tempi, gli esempi così frequenti, lo spettacolo, per dir così,
continuo della violenza, della vendetta, dell'omicidio, ispirandogli
un'emulazione feroce, gli avevano anche servito come d'una specie
d'autorità contro la coscienza: ora, gli rinasceva ogni tanto nell'animo
l'idea confusa, ma terribile, d'un giudizio individuale, d'una ragione
indipendente dall'esempio; ora, l'essere uscito dalla turba volgare de'
malvagi, l'essere innanzi a tutti, gli dava talvolta il sentimento d'una
solitudine tremenda. Quel Dio di cui aveva sentito parlare, ma che, da
gran tempo, non si curava di negare né di riconoscere, occupato soltanto
a vivere come se non ci fosse, ora, in certi momenti d'abbattimento
senza motivo, di terrore senza pericolo, gli pareva sentirlo gridar
dentro di sé: Io sono però. Nel primo bollor delle passioni, la legge
che aveva, se non altro, sentita annunziare in nome di Lui, non gli era
parsa che odiosa: ora, quando gli tornava d'improvviso alla mente, la
mente, suo malgrado, la concepiva come una cosa che ha il suo
adempimento. Ma, non che aprirsi con nessuno su questa sua nuova
inquietudine, la copriva anzi profondamente, e la mascherava con
l'apparenze d'una più cupa ferocia; e con questo mezzo, cercava anche di
nasconderla a se stesso, o di soffogarla. Invidiando (giacché non
poteva annientarli né dimenticarli) que' tempi in cui era solito
commettere l'iniquità senza rimorso, senz'altro pensiero che della
riuscita, faceva ogni sforzo per farli tornare, per ritenere o per
riafferrare quell'antica volontà, pronta, superba, imperturbata, per
convincer se stesso ch'era ancor quello.
Così in quest'occasione, aveva subito impegnata la sua parola a don
Rodrigo, per chiudersi l'adito a ogni esitazione. Ma appena partito
costui, sentendo scemare quella fermezza che s'era comandata per
promettere, sentendo a poco a poco venirsi innanzi nella mente pensieri
che lo tentavano di mancare a quella parola, e l'avrebbero condotto a
scomparire in faccia a un amico, a un complice secondario; per troncare a
un tratto quel contrasto penoso, chiamò il Nibbio, uno de' più destri e
arditi ministri delle sue enormità, e quello di cui era solito servirsi
per la corrispondenza con Egidio. E, con aria risoluta, gli comandò che
montasse subito a cavallo, andasse diritto a Monza, informasse Egidio
dell'impegno contratto, e richiedesse il suo aiuto per adempirlo.
Il messo ribaldo tornò più presto che il suo padrone non se
l'aspettasse, con la risposta d'Egidio: che l'impresa era facile e
sicura; gli si mandasse subito una carrozza, con due o tre bravi ben
travisati; e lui prendeva la cura di tutto il resto, e guiderebbe la
cosa. A quest'annunzio, l'innominato, comunque stesse di dentro, diede
ordine in fretta al Nibbio stesso, che disponesse tutto secondo aveva
detto Egidio, e andasse con due altri che gli nominò, alla spedizione.
Se per rendere l'orribile servizio che gli era stato chiesto, Egidio
avesse dovuto far conto de' soli suoi mezzi ordinari, non avrebbe
certamente data così subito una promessa così decisa. Ma, in quell'asilo
stesso dove pareva che tutto dovesse essere ostacolo, l'atroce giovine
aveva un mezzo noto a lui solo; e ciò che per gli altri sarebbe stata la
maggior difficoltà, era strumento per lui. Noi abbiamo riferito come la
sciagurata signora desse una volta retta alle sue parole; e il lettore
può avere inteso che quella volta non fu l'ultima, non fu che un primo
passo in una strada d'abbominazione e di sangue. Quella stessa voce, che
aveva acquistato forza e, direi quasi, autorità dal delitto, le impose
ora il sagrifizio dell'innocente che aveva in custodia.
La proposta riuscì spaventosa a Gertrude. Perder Lucia per un caso
impreveduto, senza colpa, le sarebbe parsa una sventura, una punizione
amara: e le veniva comandato di privarsene con una scellerata perfidia,
di cambiare in un nuovo rimorso un mezzo di espiazione. La sventurata
tentò tutte le strade per esimersi dall'orribile comando; tutte, fuorché
la sola ch'era sicura, e che le stava pur sempre aperta davanti. Il
delitto è un padrone rigido e inflessibile, contro cui non divien forte
se non chi se ne ribella interamente. A questo Gertrude non voleva
risolversi; e ubbidì.
Era il giorno stabilito; l'ora convenuta s'avvicinava; Gertrude,
ritirata con Lucia nel suo parlatorio privato, le faceva più carezze
dell'ordinario, e Lucia le riceveva e le contraccambiava con tenerezza
crescente: come la pecora, tremolando senza timore sotto la mano del
pastore che la palpa e la strascina mollemente, si volta a leccar quella
mano; e non sa che, fuori della stalla, l'aspetta il macellaio, a cui
il pastore l'ha venduta un momento prima.
- Ho bisogno d'un gran servizio; e voi sola potete farmelo. Ho tanta
gente a' miei comandi; ma di cui mi fidi, nessuno. Per un affare di
grand'importanza, che vi dirò poi, ho bisogno di parlar subito subito
con quel padre guardiano de' cappuccini che v'ha condotta qui da me, la
mia povera Lucia; ma è anche necessario che nessuno sappia che l'ho
mandato a chiamare io. Non ho che voi per far segretamente
quest'imbasciata.
Lucia fu atterrita d'una tale richiesta; e con quella sua suggezione,
ma senza nascondere una gran maraviglia, addusse subito, per
disimpegnarsene, le ragioni che la signora doveva intendere, che avrebbe
dovute prevedere: senza la madre, senza nessuno, per una strada
solitaria, in un paese sconosciuto... Ma Gertrude, ammaestrata a una
scola infernale, mostrò tanta maraviglia anche lei, e tanto dispiacere
di trovare una tal ritrosia nella persona di cui credeva poter far più
conto, figurò di trovar così vane quelle scuse! di giorno chiaro,
quattro passi, una strada che Lucia aveva fatta pochi giorni prima, e
che, quand'anche non l'avesse mai veduta, a insegnargliela, non la
poteva sbagliare!... Tanto disse, che la poverina, commossa e punta a un
tempo, si lasciò sfuggir di bocca: - e bene; cosa devo fare?
- Andate al convento de' cappuccini: - e le descrisse la strada di
nuovo: - fate chiamare il padre guardiano, ditegli, da solo a solo, che
venga da me subito subito; ma che non dica a nessuno che son io che lo
mando a chiamare.
- Ma cosa dirò alla fattoressa, che non m'ha mai vista uscire, e mi domanderà dove vo?
- Cercate di passare senz'esser vista; e se non vi riesce, ditele che
andate alla chiesa tale, dove avete promesso di fare orazione.
Nuova difficoltà per la povera giovine: dire una bugia; ma la signora
si mostrò di nuovo così afflitta delle ripulse, le fece parer così
brutta cosa l'anteporre un vano scrupolo alla riconoscenza, che Lucia,
sbalordita più che convinta, e soprattutto commossa più che mai,
rispose: - e bene; anderò. Dio m'aiuti! - E si mosse.
Quando Gertrude, che dalla grata la seguiva con l'occhio fisso e
torbido, la vide metter piede sulla soglia, come sopraffatta da un
sentimento irresistibile, aprì la bocca, e disse: - sentite, Lucia!
Questa si voltò, e tornò verso la grata. Ma già un altro pensiero, un
pensiero avvezzo a predominare, aveva vinto di nuovo nella mente
sciagurata di Gertrude. Facendo le viste di non esser contenta
dell'istruzioni già date, spiegò di nuovo a Lucia la strada che doveva
tenere, e la licenziò dicendo: - fate ogni cosa come v'ho detto, e
tornate presto -. Lucia partì.
Passò inosservata la porta del chiostro, prese la strada, con gli
occhi bassi, rasente al muro; trovò, con l'indicazioni avute e con le
proprie rimembranze, la porta del borgo, n'uscì, andò tutta raccolta e
un po' tremante, per la strada maestra, arrivò in pochi momenti a quella
che conduceva al convento; e la riconobbe. Quella strada era, ed è
tutt'ora, affondata, a guisa d'un letto di fiume, tra due alte rive
orlate di macchie, che vi forman sopra una specie di volta. Lucia,
entrandovi, e vedendola affatto solitaria, sentì crescere la paura, e
allungava il passo; ma poco dopo si rincorò alquanto, nel vedere una
carrozza da viaggio ferma, e accanto a quella, davanti allo sportello
aperto, due viaggiatori che guardavano in qua e in là, come incerti
della strada. Andando avanti, sentì uno di que' due, che diceva: - ecco
una buona giovine che c'insegnerà la strada -. Infatti, quando fu
arrivata alla carrozza, quel medesimo, con un fare più gentile che non
fosse l'aspetto, si voltò, e disse: - quella giovine, ci sapreste
insegnar la strada di Monza?
- Andando di lì, vanno a rovescio, - rispondeva la poverina:
- Monza è di qua... - e si voltava, per accennar col dito; quando
l'altro compagno (era il Nibbio), afferrandola d'improvviso per la vita,
l'alzò da terra. Lucia girò la testa indietro atterrita, e cacciò un
urlo; il malandrino la mise per forza nella carrozza: uno che stava a
sedere davanti, la prese e la cacciò, per quanto lei si divincolasse e
stridesse, a sedere dirimpetto a sé: un altro, mettendole un fazzoletto
alla bocca, le chiuse il grido in gola. In tanto il Nibbio entrò presto
presto anche lui nella carrozza: lo sportello si chiuse, e la carrozza
partì di carriera. L'altro che le aveva fatta quella domanda traditora,
rimasto nella strada, diede un'occhiata in qua e in là, per veder se
fosse accorso qualcheduno agli urli di Lucia: non c'era nessuno; saltò
sur una riva, attaccandosi a un albero della macchia, e disparve. Era
costui uno sgherro d'Egidio; era stato, facendo l'indiano, sulla porta
del suo padrone, per veder quando Lucia usciva dal monastero; l'aveva
osservata bene, per poterla riconoscere; ed era corso, per una
scorciatoia, ad aspettarla al posto convenuto.
Chi potrà ora descrivere il terrore, l'angoscia di costei, esprimere
ciò che passava nel suo animo? Spalancava gli occhi spaventati, per
ansietà di conoscere la sua orribile situazione, e li richiudeva subito,
per il ribrezzo e per il terrore di que' visacci: si storceva, ma era
tenuta da tutte le parti: raccoglieva tutte le sue forze, e dava delle
stratte, per buttarsi verso lo sportello; ma due braccia nerborute la
tenevano come conficcata nel fondo della carrozza; quattro altre manacce
ve l'appuntellavano. Ogni volta che aprisse la bocca per cacciare un
urlo, il fazzoletto veniva a soffogarglielo in gola. Intanto tre bocche
d'inferno, con la voce più umana che sapessero formare, andavan
ripetendo: - zitta, zitta, non abbiate paura, non vogliamo farvi male -.
Dopo qualche momento d'una lotta così angosciosa, parve che
s'acquietasse; allentò le braccia, lasciò cader la testa all'indietro,
alzò a stento le palpebre, tenendo l'occhio immobile; e quegli orridi
visacci che le stavan davanti le parvero confondersi e ondeggiare
insieme in un mescuglio mostruoso: le fuggì il colore dal viso; un sudor
freddo glielo coprì; s'abbandonò, e svenne.
- Su, su, coraggio, - diceva il Nibbio. - Coraggio, coraggio, -
ripetevan gli altri due birboni; ma lo smarrimento d'ogni senso
preservava in quel momento Lucia dal sentire i conforti di quelle
orribili voci.
- Diavolo! par morta, - disse uno di coloro: - se fosse morta davvero?
- Oh! morta! - disse l'altro: - è uno di quegli svenimenti che
vengono alle donne. Io so che, quando ho voluto mandare all'altro mondo
qualcheduno, uomo o donna che fosse, c'è voluto altro.
- Via! - disse il Nibbio: - attenti al vostro dovere, e non andate a
cercar altro. Tirate fuori dalla cassetta i tromboni, e teneteli pronti;
che in questo bosco dove s'entra ora, c'è sempre de' birboni annidati.
Non così in mano, diavolo! riponeteli dietro le spalle, stesi: non
vedete che costei è un pulcin bagnato che basisce per nulla? Se vede
armi, è capace di morir davvero. E quando sarà rinvenuta, badate bene di
non farle paura; non la toccate, se non vi fo segno; a tenerla basto
io. E zitti: lasciate parlare a me.
Intanto la carrozza, andando sempre di corsa, s'era inoltrata nel bosco.
Dopo qualche tempo, la povera Lucia cominciò a risentirsi, come da un
sonno profondo e affannoso, e aprì gli occhi. Penò alquanto a
distinguere gli spaventosi oggetti che la circondavano, a raccogliere i
suoi pensieri: alfine comprese di nuovo la sua terribile situazione. Il
primo uso che fece delle poche forze ritornatele, fu di buttarsi ancora
verso lo sportello, per slanciarsi fuori; ma fu ritenuta, e non poté che
vedere un momento la solitudine selvaggia del luogo per cui passava.
Cacciò di nuovo un urlo; ma il Nibbio, alzando la manaccia col
fazzoletto, - via, - le disse, più dolcemente che poté; - state zitta,
che sarà meglio per voi: non vogliamo farvi male; ma se non istate
zitta, vi faremo star noi.
- Lasciatemi andare! Chi siete voi? Dove mi conducete? Perché m'avete presa? Lasciatemi andare, lasciatemi andare!
- Vi dico che non abbiate paura: non siete una bambina, e dovete
capire che noi non vogliamo farvi male. Non vedete che avremmo potuto
ammazzarvi cento volte, se avessimo cattive intenzioni? Dunque state
quieta.
- No, no, lasciatemi andare per la mia strada: io non vi conosco.
- Vi conosciamo noi.
- Oh santissima Vergine! come mi conoscete? Lasciatemi andare, per carità. Chi siete voi? Perché m'avete presa?
- Perché c'è stato comandato.
- Chi? chi? chi ve lo può aver comandato?
- Zitta! - disse con un visaccio severo il Nibbio: - a noi non si fa di codeste domande.
Lucia tentò un'altra volta di buttarsi d'improvviso allo sportello;
ma vedendo ch'era inutile, ricorse di nuovo alle preghiere; e con la
testa bassa, con le gote irrigate di lacrime, con la voce interrotta dal
pianto, con le mani giunte dinanzi alle labbra, - oh - diceva: - per
l'amor di Dio, e della Vergine santissima, lasciatemi andare! Cosa v'ho
fatto di male io? Sono una povera creatura che non v'ha fatto niente.
Quello che m'avete fatto voi, ve lo perdono di cuore; e pregherò Dio per
voi. Se avete anche voi una figlia, una moglie, una madre, pensate
quello che patirebbero, se fossero in questo stato. Ricordatevi che
dobbiamo morir tutti, e che un giorno desidererete che Dio vi usi
misericordia. Lasciatemi andare, lasciatemi qui: il Signore mi farà
trovar la mia strada.
- Non possiamo.
- Non potete? Oh Signore! perché non potete? Dove volete condurmi? Perché? ...
- Non possiamo: è inutile: non abbiate paura, che non vogliamo farvi male: state quieta, e nessuno vi toccherà.
Accorata, affannata, atterrita sempre più nel vedere che le sue
parole non facevano nessun colpo, Lucia si rivolse a Colui che tiene in
mano il cuore degli uomini, e può, quando voglia, intenerire i più duri.
Si strinse il più che poté, nel canto della carrozza, mise le braccia
in croce sul petto, e pregò qualche tempo con la mente; poi, tirata
fuori la corona, cominciò a dire il rosario, con più fede e con più
affetto che non avesse ancor fatto in vita sua. Ogni tanto, sperando
d'avere impetrata la misericordia che implorava, si voltava a ripregar
coloro; ma sempre inutilmente. Poi ricadeva ancora senza sentimenti, poi
si riaveva di nuovo, per rivivere a nuove angosce. Ma ormai non ci
regge il cuore a descriverle più a lungo: una pietà troppo dolorosa ci
affretta al termine di quel viaggio, che durò più di quattr'ore; e dopo
il quale avremo altre ore angosciose da passare. Trasportiamoci al
castello dove l'infelice era aspettata.
Era aspettata dall'innominato, con un'inquietudine, con una
sospension d'animo insolita. Cosa strana! quell'uomo, che aveva disposto
a sangue freddo di tante vite, che in tanti suoi fatti non aveva
contato per nulla i dolori da lui cagionati, se non qualche volta per
assaporare in essi una selvaggia voluttà di vendetta, ora, nel metter le
mani addosso a questa sconosciuta, a questa povera contadina, sentiva
come un ribrezzo, direi quasi un terrore. Da un'alta finestra del suo
castellaccio, guardava da qualche tempo verso uno sbocco della valle; ed
ecco spuntar la carrozza, e venire innanzi lentamente: perché quel
primo andar di carriera aveva consumata la foga, e domate le forze de'
cavalli. E benché, dal punto dove stava a guardare, la non paresse più
che una di quelle carrozzine che si dànno per balocco ai fanciulli, la
riconobbe subito, e si sentì il cuore batter più forte.
"Ci sarà? - pensò subito; e continuava tra sé: - che noia mi dà costei! Liberiamocene".
E voleva chiamare uno de' suoi sgherri, e spedirlo subito incontro
alla carrozza, a ordinare al Nibbio che voltasse, e conducesse colei al
palazzo di don Rodrigo. Ma un no imperioso che risonò nella sua mente,
fece svanire quel disegno. Tormentato però dal bisogno di dar qualche
ordine, riuscendogli intollerabile lo stare aspettando oziosamente
quella carrozza che veniva avanti passo passo, come un tradimento, che
so io? come un gastigo, fece chiamare una sua vecchia donna.
Era costei nata in quello stesso castello, da un antico custode di
esso, e aveva passata lì tutta la sua vita. Ciò che aveva veduto e
sentito fin dalle fasce, le aveva impresso nella mente un concetto
magnifico e terribile del potere de' suoi padroni; e la massima
principale che aveva attinta dall'istruzioni e dagli esempi, era che
bisognava ubbidirli in ogni cosa, perché potevano far del gran male e
del gran bene. L'idea del dovere, deposta come un germe nel cuore di
tutti gli uomini, svolgendosi nel suo, insieme co' sentimenti d'un
rispetto, d'un terrore, d'una cupidigia servile, s'era associata e
adattata a quelli. Quando l'innominato, divenuto padrone, cominciò a far
quell'uso spaventevole della sua forza, costei ne provò da principio un
certo ribrezzo insieme e un sentimento più profondo di sommissione. Col
tempo, s'era avvezzata a ciò che aveva tutto il giorno davanti agli
occhi e negli orecchi: la volontà potente e sfrenata d'un così gran
signore, era per lei come una specie di giustizia fatale. Ragazza già
fatta, aveva sposato un servitor di casa, il quale, poco dopo, essendo
andato a una spedizione rischiosa, lasciò l'ossa sur una strada, e lei
vedova nel castello. La vendetta che il signore ne fece subito, le diede
una consolazione feroce, e le accrebbe l'orgoglio di trovarsi sotto una
tal protezione. D'allora in poi, non mise piede fuor del castello, che
molto di rado; e a poco a poco non le rimase del vivere umano quasi
altre idee salvo quelle che ne riceveva in quel luogo. Non era addetta
ad alcun servizio particolare, ma, in quella masnada di sgherri, ora
l'uno ora l'altro, le davan da fare ogni poco; ch'era il suo rodimento.
Ora aveva cenci da rattoppare, ora da preparare in fretta da mangiare a
chi tornasse da una spedizione, ora feriti da medicare. I comandi poi di
coloro, i rimproveri, i ringraziamenti, eran conditi di beffe e
d'improperi: vecchia, era il suo appellativo usuale; gli aggiunti, che
qualcheduno sempre ci se n'attaccava, variavano secondo le circostanze e
l'umore dell'amico. E colei, disturbata nella pigrizia, e provocata
nella stizza, ch'erano due delle sue passioni predominanti,
contraccambiava alle volte que' complimenti con parole, in cui Satana
avrebbe riconosciuto più del suo ingegno, che in quelle de' provocatori.
- Tu vedi laggiù quella carrozza! - le disse il signore.
- La vedo, - rispose la vecchia, cacciando avanti il mento appuntato,
e aguzzando gli occhi infossati, come se cercasse di spingerli su gli
orli dell'occhiaie.
- Fa allestir subito una bussola, entraci, e fatti portare alla
Malanotte. Subito subito; che tu ci arrivi prima di quella carrozza: già
la viene avanti col passo della morte. In quella carrozza c'è... ci
dev'essere... una giovine. Se c'è, dì al Nibbio, in mio nome, che la
metta nella bussola, e lui venga su subito da me. Tu starai nella
bussola, con quella... giovine; e quando sarete quassù, la condurrai
nella tua camera. Se ti domanda dove la meni, di chi è il castello,
guarda di non...
- Oh! - disse la vecchia.
- Ma, - continuò l'innominato, - falle coraggio.
- Cosa le devo dire?
- Cosa le devi dire? Falle coraggio, ti dico. Tu sei venuta a codesta
età, senza sapere come si fa coraggio a una creatura, quando sI vuole!
Hai tu mai sentito affanno di cuore? Hai tu mai avuto paura? Non sai le
parole che fanno piacere in que' momenti? Dille di quelle parole:
trovale, alla malora. Va'.
E partita che fu, si fermò alquanto alla finestra, con gli occhi
fissi a quella carrozza, che già appariva più grande di molto; poi gli
alzo al sole, che in quel momento si nascondeva dietro la montagna; poi
guardò le nuvole sparse al di sopra, che di brune si fecero, quasi a un
tratto, di fuoco. Si ritirò, chiuse la finestra, e si mise a camminare
innanzi e indietro per la stanza, con un passo di viaggiatore
frettoloso.
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