Testo Completo
Il giorno seguente, nel paesetto di Lucia e in tutto il
territorio di Lecco, non si parlava che di lei, dell'innominato,
dell'arcivescovo e d'un altro tale, che, quantunque gli piacesse molto
d'andar per le bocche degli uomini, n'avrebbe, in quella congiuntura,
fatto volentieri di meno: vogliam dire il signor don Rodrigo.
Non già che prima d'allora non si parlasse de' fatti suoi; ma eran
discorsi rotti, segreti: bisognava che due si conoscessero bene bene tra
di loro, per aprirsi sur un tale argomento. E anche, non ci mettevano
tutto il sentimento di che sarebbero stati capaci: perché gli uomini,
generalmente parlando, quando l'indegnazione non si possa sfogare senza
grave pericolo, non solo dimostran meno, o
tengono affatto in sé quella
che sentono, ma ne senton meno in effetto. Ma ora, chi si sarebbe tenuto
d'informarsi, e di ragionare d'un fatto così strepitoso, in cui s'era
vista la mano del cielo, e dove facevan buona figura due personaggi
tali? uno, in cui un amore della giustizia tanto animoso andava unito a
tanta autorità; l'altro, con cui pareva che la prepotenza in persona si
fosse umiliata, che la braverìa fosse venuta, per dir così, a render
l'armi, e a chiedere il riposo. A tali paragoni, il signor don Rodrigo
diveniva un po' piccino. Allora si capiva da tutti cosa fosse tormentar
l'innocenza per poterla disonorare, perseguitarla con un'insistenza così
sfacciata, con sì atroce violenza, con sì abbominevoli insidie. Si
faceva, in quell'occasione, una rivista di tant'altre prodezze di quel
signore: e su tutto la dicevan come la sentivano, incoraggiti ognuno dal
trovarsi d'accordo con tutti. Era un susurro, un fremito generale; alla
larga però, per ragione di tutti que' bravi che colui aveva d'intorno.
Una buona parte di quest'odio pubblico cadeva ancora sui suoi amici e
cortigiani. Si rosolava bene il signor podestà, sempre sordo e cieco e
muto sui fatti di quel tiranno; ma alla lontana, anche lui, perché, se
non aveva i bravi, aveva i birri. Col dottor Azzecca-garbugli, che non
aveva se non chiacchiere e cabale, e con altri cortigianelli suoi pari,
non s'usava tanti riguardi: eran mostrati a dito, e guardati con occhi
torti; di maniera che, per qualche tempo, stimaron bene di non farsi
veder per le strade.
Don Rodrigo, fulminato da quella notizia così impensata, così diversa
dall'avviso che aspettava di giorno in giorno, di momento in momento,
stette rintanato nel suo palazzotto, solo co' suoi bravi, a rodersi, per
due giorni; il terzo, partì per Milano. Se non fosse stato altro che
quel mormoracchiare della gente, forse, poiché le cose erano andate
tant'avanti, sarebbe rimasto apposta per affrontarlo, anzi per cercar
l'occasione di dare un esempio a tutti sopra qualcheduno de' più arditi;
ma chi lo cacciò, fu l'essersi saputo per certo, che il cardinale
veniva da quelle parti. Il conte zio, il quale di tutta quella storia
non sapeva se non quel che gli aveva detto Attilio, avrebbe certamente
preteso che, in una congiuntura simile, don Rodrigo facesse una gran
figura, e avesse in pubblico dal cardinale le più distinte accoglienze:
ora, ognun vede come ci fosse incamminato. L'avrebbe preteso, e se ne
sarebbe fatto render conto minutamente; perché era un'occasione
importante di far vedere in che stima fosse tenuta la famiglia da una
primaria autorità. Per levarsi da un impiccio così noioso, don Rodrigo,
alzatosi una mattina prima del sole, si mise in una carrozza, col Griso e
con altri bravi, di fuori, davanti e di dietro; e, lasciato l'ordine
che il resto della servitù venisse poi in seguito, partì come un
fuggitivo, come (ci sia un po' lecito di sollevare i nostri personaggi
con qualche illustre paragone), come Catilina da Roma, sbuffando, e
giurando di tornar ben presto, in altra comparsa, a far le sue vendette.
Intanto, il cardinale veniva visitando, a una per giorno, le
parrocchie del territorio di Lecco. Il giorno in cui doveva arrivare a
quella di Lucia, già una gran parte degli abitanti erano andati sulla
strada a incontrarlo. All'entrata del paese, proprio accanto alla
casetta delle nostre due donne, c'era un arco trionfale, costrutto di
stili per il ritto, e di pali per il traverso, rivestito di paglia e di
borraccina, e ornato di rami verdi di pugnitopo e d'agrifoglio, distinti
di bacche scarlatte; la facciata della chiesa era parata di
tappezzerie; al davanzale d'ogni finestra pendevano coperte e lenzoli
distesi, fasce di bambini disposte a guisa di pendoni; tutto quel poco
necessario che fosse atto a fare, o bene o male, figura di superfluo.
Verso le ventidue, ch'era l'ora in cui s'aspettava il cardinale, quelli
ch'eran rimasti in casa, vecchi, donne e fanciulli la più parte,
s'avviarono anche loro a incontrarlo, parte in fila, parte in truppa,
preceduti da don Abbondio, uggioso in mezzo a tanta festa, e per il
fracasso che lo sbalordiva, e per il brulicar della gente innanzi e
indietro, che, come andava ripetendo, gli faceva girar la testa, e per
il rodìo segreto che le donne avesser potuto cicalare, e dovesse
toccargli a render conto del matrimonio.
Quand'ecco si vede spuntare il cardinale, o per dir meglio, la turba
in mezzo a cui si trovava nella sua lettiga, col suo seguito d'intorno;
perché di tutto questo non si vedeva altro che un indizio in aria, al di
sopra di tutte le teste, un pezzo della croce portata dal cappellano
che cavalcava una mula. La gente che andava con don Abbondio, s'affrettò
alla rinfusa, a raggiunger quell'altra: e lui, dopo aver detto, tre e
quattro volte: - adagio; in fila; cosa fate? - si voltò indispettito; e
seguitando a borbottare: - è una babilonia, è una babilonia, - entrò in
chiesa, intanto ch'era vota; e stette lì ad aspettare.
Il cardinale veniva avanti, dando benedizioni con la mano, e
ricevendone dalle bocche della gente, che quelli del seguito avevano un
bel da fare a tenere un po' indietro. Per esser del paese di Lucia,
avrebbe voluto quella gente fare all'arcivescovo dimostrazioni
straordinarie; ma la cosa non era facile, perché era uso che, per tutto
dove arrivava, tutti facevano più che potevano. Già sul principio stesso
del suo pontificato, nel primo solenne ingresso in duomo, la calca e
l'impeto della gente addosso a lui era stato tale, da far temere della
sua vita; e alcuni gentiluomini che gli eran più vicini, avevano
sfoderate le spade, per atterrire e respinger la folla. Tanto c'era in
que' costumi di scomposto e di violento, che, anche nel far
dimostrazioni di benevolenza a un vescovo in chiesa, e nel moderarle, si
dovesse andar vicino all'ammazzare. E quella difesa non sarebbe forse
bastata, se il maestro e il sottomaestro delle cerimonie, un Clerici e
un Picozzi, giovani preti che stavan bene di corpo e d'animo, non
l'avessero alzato sulle braccia, e portato di peso, dalla porta fino
all'altar maggiore. D'allora in poi, in tante visite episcopali ch'ebbe a
fare, il primo entrar nella chiesa si può senza scherzo contarlo tra le
sue pastorali fatiche, e qualche volta, tra i pericoli passati da lui.
Entrò anche in questa come poté; andò all'altare e, dopo essere stato
alquanto in orazione, fece, secondo il suo solito, un piccol discorso
al popolo, sul suo amore per loro, sul suo desiderio della loro
salvezza, e come dovessero disporsi alle funzioni del giorno dopo.
Ritiratosi poi nella casa del parroco, tra gli altri discorsi, gli
domandò informazione di Renzo. Don Abbondio disse ch'era un giovine un
po' vivo, un po' testardo, un po' collerico. Ma, a più particolari e
precise domande, dovette rispondere ch'era un galantuomo, e che anche
lui non sapeva capire come, in Milano, avesse potuto fare tutte quelle
diavolerie che avevan detto.
- In quanto alla giovine, - riprese il cardinale, - pare anche a voi che possa ora venir sicuramente a dimorare in casa sua?
- Per ora, - rispose don Abbondio, - può venire e stare, come vuole:
dico, per ora; ma, - soggiunse poi con un sospiro, - bisognerebbe che
vossignoria illustrissima fosse sempre qui, o almeno vicino.
- Il Signore è sempre vicino, - disse il cardinale: - del resto,
penserò io a metterla al sicuro -. E diede subito ordine che, il giorno
dopo, si spedisse di buon'ora la lettiga, con una scorta, a prender le
due donne.
Don Abbondio uscì di lì tutto contento che il cardinale gli avesse
parlato de' due giovani, senza chiedergli conto del suo rifiuto di
maritarli. "Dunque non sa niente, - diceva tra sé: - Agnese è stata
zitta: miracolo! È vero che s'hanno a tornare a vedere; ma le daremo
un'altra istruzione, le daremo". E non sapeva, il pover'uomo, che
Federigo non era entrato in quell'argomento, appunto perché intendeva di
parlargliene a lungo, in tempo più libero; e, prima di dargli ciò che
gli era dovuto, voleva sentire anche le sue ragioni.
Ma i pensieri del buon prelato per metter Lucia al sicuro eran
divenuti inutili: dopo che l'aveva lasciata, eran nate delle cose, che
dobbiamo raccontare.
Le due donne, in que' pochi giorni ch'ebbero a passare nella casuccia
ospitale del sarto, avevan ripreso, per quanto avevan potuto, ognuna il
suo antico tenor di vita. Lucia aveva subito chiesto da lavorare; e,
come aveva fatto nel monastero, cuciva, cuciva, ritirata in una
stanzina, lontano dagli occhi della gente. Agnese andava un po' fuori,
un po' lavorava in compagnia della figlia. I loro discorsi eran tanto
più tristi, quanto più affettuosi: tutt'e due eran preparate a una
separazione; giacché la pecora non poteva tornare a star così vicino
alla tana del lupo: e quando, quale, sarebbe il termine di questa
separazione? L'avvenire era oscuro, imbrogliato: per una di loro
principalmente. Agnese tanto ci andava facendo dentro le sue congetture
allegre: che Renzo finalmente, se non gli era accaduto nulla di
sinistro, dovrebbe presto dar le sue nuove; e se aveva trovato da
lavorare e da stabilirsi, se (e come dubitarne?) stava fermo nelle sue
promesse, perché non si potrebbe andare a star con lui? E di tali
speranze, ne parlava e ne riparlava alla figlia, per la quale non saprei
dire se fosse maggior dolore il sentire, o pena il rispondere. Il suo
gran segreto l'aveva sempre tenuto in sé; e, inquietata bensì dal
dispiacere di fare a una madre così buona un sotterfugio, che non era il
primo; ma trattenuta, come invincibilmente, dalla vergogna e da' vari
timori che abbiam detto di sopra, andava d'oggi in domani, senza dir
nulla. I suoi disegni eran ben diversi da quelli della madre, o, per dir
meglio, non n'aveva; s'era abbandonata alla Provvidenza. Cercava dunque
di lasciar cadere, o di stornare quel discorso; o diceva, in termini
generali, di non aver più speranza, né desiderio di cosa di questo
mondo, fuorché di poter presto riunirsi con sua madre; le più volte, il
pianto veniva opportunamente a troncar le parole.
- Sai perché ti par così? - diceva Agnese: - perché hai tanto patito,
e non ti par vero che la possa voltarsi in bene. Ma lascia fare al
Signore; e se... Lascia che si veda un barlume, appena un barlume di
speranza; e allora mi saprai dire se non pensi più a nulla -. Lucia
baciava la madre, e piangeva.
Del resto, tra loro e i loro ospiti era nata subito una
grand'amicizia: e dove nascerebbe, se non tra beneficati e benefattori,
quando gli uni e gli altri son buona gente? Agnese specialmente faceva
di gran chiacchiere con la padrona. Il sarto poi dava loro un po' di
svago con delle storie, e con de' discorsi morali: e, a desinare
soprattutto, aveva sempre qualche bella cosa da raccontare, di Bovo
d'Antona o de' Padri del deserto.
Poco distante da quel paesetto, villeggiava una coppia d'alto affare;
don Ferrante e donna Prassede: il casato, al solito, nella penna
dell'anonimo. Era donna Prassede una vecchia gentildonna molto inclinata
a far del bene: mestiere certamente il più degno che l'uomo possa
esercitare; ma che pur troppo può anche guastare, come tutti gli altri.
Per fare il bene, bisogna conoscerlo; e, al pari d'ogni altra cosa, non
possiamo conoscerlo che in mezzo alle nostre passioni, per mezzo de'
nostri giudizi, con le nostre idee; le quali bene spesso stanno come
possono. Con l'idee donna Prassede si regolava come dicono che si deve
far con gli amici: n'aveva poche; ma a quelle poche era molto
affezionata. Tra le poche, ce n'era per disgrazia molte delle storte; e
non eran quelle che le fossero men care. Le accadeva quindi, o di
proporsi per bene ciò che non lo fosse, o di prender per mezzi, cose che
potessero piuttosto far riuscire dalla parte opposta, o di crederne
leciti di quelli che non lo fossero punto, per una certa supposizione in
confuso, che chi fa più del suo dovere possa far più di quel che
avrebbe diritto; le accadeva di non vedere nel fatto ciò che c'era di
reale, o di vederci ciò che non c'era; e molte altre cose simili, che
possono accadere, e che accadono a tutti, senza eccettuarne i migliori;
ma a donna Prassede, troppo spesso e, non di rado, tutte in una volta.
Al sentire il gran caso di Lucia, e tutto ciò che, in
quell'occasione, si diceva della giovine, le venne la curiosità di
vederla; e mandò una carrozza, con un vecchio bracciere, a prender la
madre e la figlia. Questa si ristringeva nelle spalle, e pregava il
sarto, il quale aveva fatta loro l'imbasciata, che trovasse maniera di
scusarla. Finché s'era trattato di gente alla buona che cercava di
conoscer la giovine del miracolo, il sarto le aveva reso volentieri un
tal servizio; ma in questo caso, il rifiuto gli pareva una specie di
ribellione. Fece tanti versi, tant'esclamazioni, disse tante cose: e che
non si faceva così, e ch'era una casa grande, e che ai signori non si
dice di no, e che poteva esser la loro fortuna, e che la signora donna
Prassede, oltre il resto, era anche una santa; tante cose insomma, che
Lucia si dovette arrendere: molto più che Agnese confermava tutte quelle
ragioni con altrettanti - sicuro, sicuro.
Arrivate davanti alla signora, essa fece loro grand'accoglienza, e
molte congratulazioni; interrogò, consigliò: il tutto con una certa
superiorità quasi innata, ma corretta da tante espressioni umili,
temperata da tanta premura, condita di tanta spiritualità, che, Agnese
quasi subito, Lucia poco dopo, cominciarono a sentirsi sollevate dal
rispetto opprimente che da principio aveva loro incusso quella signorile
presenza; anzi ci trovarono una certa attrattiva. E per venire alle
corte, donna Prassede, sentendo che il cardinale s'era incaricato di
trovare a Lucia un ricovero, punta dal desiderio di secondare e di
prevenire a un tratto quella buona intenzione, s'esibì di prender la
giovine in casa, dove, senz'essere addetta ad alcun servizio
particolare, potrebbe, a piacer suo, aiutar l'altre donne ne' loro
lavori. E soggiunse che penserebbe lei a darne parte a monsignore.
Oltre il bene chiaro e immediato che c'era in un'opera tale, donna
Prassede ce ne vedeva, e se ne proponeva un altro, forse più
considerabile, secondo lei; di raddirizzare un cervello, di metter sulla
buona strada chi n'aveva gran bisogno. Perché, fin da quando aveva
sentito la prima volta parlar di Lucia, s'era subito persuasa che una
giovine la quale aveva potuto promettersi a un poco di buono, a un
sedizioso, a uno scampaforca in somma, qualche magagna, qualche pecca
nascosta la doveva avere. Dimmi chi pratichi, e ti dirò chi sei. La
vista di Lucia aveva confermata quella persuasione. Non che, in fondo,
come si dice, non le paresse una buona giovine; ma c'era molto da
ridire. Quella testina bassa, col mento inchiodato sulla fontanella
della gola, quel non rispondere, o risponder secco secco, come per
forza, potevano indicar verecondia; ma denotavano sicuramente molta
caparbietà: non ci voleva molto a indovinare che quella testina aveva le
sue idee. E quell'arrossire ogni momento, e quel rattenere i sospiri...
Due occhioni poi, che a donna Prassede non piacevan punto. Teneva essa
per certo, come se lo sapesse di buon luogo, che tutte le sciagure di
Lucia erano una punizione del cielo per la sua amicizia con quel poco di
buono, e un avviso per far che se ne staccasse affatto; e stante
questo, si proponeva di cooperare a un così buon fine. Giacché, come
diceva spesso agli altri e a se stessa, tutto il suo studio era di
secondare i voleri del cielo: ma faceva spesso uno sbaglio grosso,
ch'era di prender per cielo il suo cervello. Però, della seconda
intenzione che abbiam detto, si guardò bene di darne il minimo indizio.
Era una delle sue massime questa, che, per riuscire a far del bene alla
gente, la prima cosa, nella maggior parte de' casi, è di non metterli a
parte del disegno.
La madre e la figlia si guardarono in viso. Nella dolorosa necessità
di dividersi, l'esibizione parve a tutt'e due da accettarsi, se non
altro per esser quella villa così vicina al loro paesetto: per cui, alla
peggio de' peggi, si ravvicinerebbero e potrebbero trovarsi insieme,
alla prossima villeggiatura. Visto, l'una negli occhi dell'altra, il
consenso, si voltaron tutt'e due a donna Prassede con quel ringraziare
che accetta. Essa rinnovò le gentilezze e le promesse, e disse che
manderebbe subito una lettera da presentare a monsignore.
Partite le donne, la lettera se la fece distendere da don Ferrante,
di cui, per esser letterato, come diremo più in particolare, si serviva
per segretario, nell'occasioni d'importanza. Trattandosi d'una di questa
sorte, don Ferrante ci mise tutto il suo sapere, e, consegnando la
minuta da copiare alla consorte, le raccomandò caldamente l'ortografia;
ch'era una delle molte cose che aveva studiate, e delle poche sulle
quali avesse lui il comando in casa. Donna Prassede copiò
diligentissimamente, e spedì la lettera alla casa del sarto. Questo fu
due o tre giorni prima che il cardinale mandasse la lettiga per ricondur
le donne al loro paese.
Arrivate, smontarono alla casa parrocchiale, dove si trovava il
cardinale. C'era ordine d'introdurle subito: il cappellano, che fu il
primo a vederle, l'eseguì, trattenendole solo quant'era necessario per
dar loro, in fretta in fretta, un po' d'istruzione sul cerimoniale da
usarsi con monsignore, e sui titoli da dargli; cosa che soleva fare,
ogni volta che lo potesse di nascosto a lui. Era per il pover'uomo un
tormento continuo il vedere il poco ordine che regnava intorno al
cardinale, su quel particolare: - tutto, - diceva con gli altri della
famiglia, - per la troppa bontà di quel benedett'uomo; per quella gran
famigliarità -. E raccontava d'aver perfino sentito più d'una volta co'
suoi orecchi, rispondergli: messer sì, e messer no.
Stava in quel momento il cardinale discorrendo con don Abbondio,
sugli affari della parrocchia: dimodoché questo non ebbe campo di dare
anche lui, come avrebbe desiderato, le sue istruzioni alle donne. Solo,
nel passar loro accanto, mentre usciva, e quelle venivano avanti, poté
dar loro d'occhio, per accennare ch'era contento di loro, e che
continuassero, da brave, a non dir nulla.
Dopo le prime accoglienze da una parte, e i primi inchini dall'altra,
Agnese si cavò di seno la lettera, e la presentò al cardinale, dicendo:
- è della signora donna Prassede, la quale dice che conosce molto
vossignoria illustrissima, monsignore; come naturalmente, tra loro
signori grandi, si devon conoscer tutti. Quand'avrà letto, vedrà.
- Bene, - disse Federigo, letto che ebbe, e ricavato il sugo del
senso da' fiori di don Ferrante. Conosceva quella casa quanto bastasse
per esser certo che Lucia c'era invitata con buona intenzione, e che lì
sarebbe sicura dall'insidie e dalla violenza del suo persecutore. Che
concetto avesse della testa di donna Prassede, non n'abbiam notizia
positiva. Probabilmente, non era quella la persona che avrebbe scelta a
un tal intento; ma, come abbiam detto o fatto intendere altrove, non era
suo costume di disfar le cose che non toccavano a lui, per rifarle
meglio.
- Prendete in pace anche questa separazione, e l'incertezza in cui vi
trovate, - soggiunse poi: - confidate che sia per finir presto, e che
il Signore voglia guidar le cose a quel termine a cui pare che le avesse
indirizzate; ma tenete per certo che quello che vorrà Lui, sarà il
meglio per voi -. Diede a Lucia in particolare qualche altro ricordo
amorevole; qualche altro conforto a tutt'e due; le benedisse, e le
lasciò andare. Appena fuori, si trovarono addosso uno sciame d'amici e
d'amiche, tutto il comune, si può dire, che le aspettava, e le condusse a
casa, come in trionfo. Era tra tutte quelle donne una gara di
congratularsi, di compiangere, di domandare; e tutte esclamavano dal
dispiacere, sentendo che Lucia se n'anderebbe il giorno dopo. Gli uomini
gareggiavano nell'offrir servizi; ognuno voleva star quella notte a far
la guardia alla casetta. Sul qual fatto, il nostro anonimo credé bene
di formare un proverbio: volete aver molti in aiuto? cercate di non
averne bisogno.
Tante accoglienze confondevano e sbalordivano Lucia: Agnese non
s'imbrogliava così per poco. Ma in sostanza fecero bene anche a Lucia,
distraendola alquanto da' pensieri e dalle rimembranze che, pur troppo,
anche in mezzo al frastono, le si risvegliavano, su quell'uscio, in
quelle stanzucce, alla vista d'ogni oggetto.
Al tocco della campana che annunziava vicino il cominciar delle
funzioni, tutti si mossero verso la chiesa, e fu per le nostre donne
un'altra passeggiata trionfale.
Terminate le funzioni, don Abbondio, ch'era corso a vedere se
Perpetua aveva ben disposto ogni cosa per il desinare, fu chiamato dal
cardinale. Andò subito dal grand'ospite, il quale, lasciatolo venir
vicino, - signor curato, - cominciò; e quelle parole furon dette in
maniera, da dover capire, ch'erano il principio d'un discorso lungo e
serio: - signor curato; perché non avete voi unita in matrimonio quella
povera Lucia col suo promesso sposo?
"Hanno votato il sacco stamattina coloro", pensò don Abbondio; e
rispose borbottando: - monsignore illustrissimo avrà ben sentito parlare
degli scompigli che son nati in quell'affare: è stata una confusione
tale, da non poter, neppure al giorno d'oggi, vederci chiaro: come anche
vossignoria illustrissima può argomentare da questo, che la giovine è
qui, dopo tanti accidenti, come per miracolo; e il giovine, dopo altri
accidenti, non si sa dove sia.
- Domando, - riprese il cardinale, - se è vero che, prima di tutti
codesti casi, abbiate rifiutato di celebrare il matrimonio, quando
n'eravate richiesto, nel giorno fissato; e il perché.
- Veramente... se vossignoria illustrissima sapesse... che
intimazioni... che comandi terribili ho avuti di non parlare... - E
restò lì senza concludere, in un cert'atto, da far rispettosamente
intendere che sarebbe indiscrezione il voler saperne di più.
- Ma! - disse il cardinale, con voce e con aria grave fuor del
consueto: - è il vostro vescovo che, per suo dovere e per vostra
giustificazione, vuol saper da voi il perché non abbiate fatto ciò che,
nella via regolare, era obbligo vostro di fare.
- Monsignore, - disse don Abbondio, facendosi piccino piccino, - non
ho già voluto dire... Ma m'è parso che, essendo cose intralciate, cose
vecchie e senza rimedio, fosse inutile di rimestare... Però, però,
dico... so che vossignoria illustrissima non vuol tradire un suo povero
parroco. Perché vede bene, monsignore; vossignoria illustrissima non può
esser per tutto; e io resto qui esposto... Però, quando Lei me lo
comanda, dirò, dirò tutto.
- Dite: io non vorrei altro che trovarvi senza colpa.
Allora don Abbondio si mise a raccontare la dolorosa storia; ma
tacque il nome principale, e vi sostituì: un gran signore; dando così
alla prudenza tutto quel poco che si poteva, in una tale stretta.
- E non avete avuto altro motivo? - domandò il cardinale, quando don Abbondio ebbe finito.
- Ma forse non mi sono spiegato abbastanza, - rispose questo: - sotto
pena della vita, m'hanno intimato di non far quel matrimonio.
- E vi par codesta una ragion bastante, per lasciar d'adempire un dovere preciso?
- Io ho sempre cercato di farlo, il mio dovere, anche con mio grave incomodo, ma quando si tratta della vita...
- E quando vi siete presentato alla Chiesa, - disse, con accento
ancor più grave, Federigo, - per addossarvi codesto ministero, v'ha essa
fatto sicurtà della vita? V'ha detto che i doveri annessi al ministero
fossero liberi da ogni ostacolo, immuni da ogni pericolo? O v'ha detto
forse che dove cominciasse il pericolo, ivi cesserebbe il dovere? O non
v'ha espressamente detto il contrario? Non v'ha avvertito che vi mandava
come un agnello tra i lupi? Non sapevate voi che c'eran de' violenti, a
cui potrebbe dispiacere ciò che a voi sarebbe comandato? Quello da Cui
abbiam la dottrina e l'esempio, ad imitazione di Cui ci lasciam nominare
e ci nominiamo pastori, venendo in terra a esercitarne l'ufizio, mise
forse per condizione d'aver salva la vita? E per salvarla, per
conservarla, dico, qualche giorno di più sulla terra, a spese della
carità e del dovere, c'era bisogno dell'unzione santa, dell'imposizion
delle mani, della grazia del sacerdozio? Basta il mondo a dar questa
virtù, a insegnar questa dottrina. Che dico? oh vergogna! il mondo
stesso la rifiuta: il mondo fa anch'esso le sue leggi, che prescrivono
il male come il bene; ha il suo vangelo anch'esso, un vangelo di
superbia e d'odio; e non vuol che si dica che l'amore della vita sia una
ragione per trasgredirne i comandamenti. Non lo vuole; ed è ubbidito. E
noi! noi figli e annunziatori della promessa! Che sarebbe la Chiesa, se
codesto vostro linguaggio fosse quello di tutti i vostri confratelli?
Dove sarebbe, se fosse comparsa nel mondo con codeste dottrine?
Don Abbondio stava a capo basso: il suo spirito si trovava tra quegli
argomenti, come un pulcino negli artigli del falco, che lo tengono
sollevato in una regione sconosciuta, in un'aria che non ha mai
respirata. Vedendo che qualcosa bisognava rispondere, disse, con una
certa sommissione forzata: - monsignore illustrissimo, avrò torto.
Quando la vita non si deve contare, non so cosa mi dire. Ma quando s'ha
che fare con certa gente, con gente che ha la forza, e che non vuol
sentir ragioni, anche a voler fare il bravo, non saprei cosa ci si
potesse guadagnare. È un signore quello, con cui non si può né vincerla
né impattarla.
- E non sapete voi che il soffrire per la giustizia è il nostro
vincere? E se non sapete questo, che cosa predicate? di che siete
maestro? qual è la buona nuova che annunziate a' poveri? Chi
pretende da voi che vinciate la forza con la forza? Certo non vi sarà
domandato, un giorno, se abbiate saputo fare stare a dovere i potenti;
che a questo non vi fu dato né missione, né modo. Ma vi sarà ben
domandato se avrete adoprati i mezzi ch'erano in vostra mano per far ciò
che v'era prescritto, anche quando avessero la temerità di proibirvelo.
"Anche questi santi son curiosi, - pensava intanto don Abbondio: - in
sostanza, a spremerne il sugo, gli stanno più a cuore gli amori di due
giovani, che la vita d'un povero sacerdote". E, in quant'a lui, si
sarebbe volentieri contentato che il discorso finisse lì; ma vedeva il
cardinale, a ogni pausa, restare in atto di chi aspetti una risposta:
una confessione, o un'apologia, qualcosa in somma.
- Torno a dire, monsignore, - rispose dunque, - che avrò torto io... Il coraggio, uno non se lo può dare.
- E perché dunque, potrei dirvi, vi siete voi impegnato in un
ministero che v'impone di stare in guerra con le passioni del secolo? Ma
come, vi dirò piuttosto, come non pensate che, se in codesto ministero,
comunque vi ci siate messo, v'è necessario il coraggio, per adempir le
vostre obbligazioni, c'è Chi ve lo darà infallibilmente, quando glielo
chiediate? Credete voi che tutti que' milioni di martiri avessero
naturalmente coraggio? che non facessero naturalmente nessun conto della
vita? tanti giovinetti che cominciavano a gustarla, tanti vecchi
avvezzi a rammaricarsi che fosse già vicina a finire, tante donzelle,
tante spose, tante madri? Tutti hanno avuto coraggio; perché il coraggio
era necessario, ed essi confidavano. Conoscendo la vostra debolezza e i
vostri doveri, avete voi pensato a prepararvi ai passi difficili a cui
potevate trovarvi, a cui vi siete trovato in effetto? Ah! se per
tant'anni d'ufizio pastorale, avete (e come non avreste?) amato il
vostro gregge, se avete riposto in esso il vostro cuore, le vostre cure,
le vostre delizie, il coraggio non doveva mancarvi al bisogno: l'amore è
intrepido. Ebbene, se voi gli amavate, quelli che sono affidati alle
vostre cure spirituali, quelli che voi chiamate figliuoli; quando
vedeste due di loro minacciati insieme con voi, ah certo! come la
debolezza della carne v'ha fatto tremar per voi, così la carità v'avrà
fatto tremar per loro. Vi sarete umiliato di quel primo timore, perché
era un effetto della vostra miseria; avrete implorato la forza per
vincerlo, per discacciarlo, perché era una tentazione: ma il timor santo
e nobile per gli altri, per i vostri figliuoli, quello l'avrete
ascoltato, quello non v'avrà dato pace, quello v'avrà eccitato,
costretto, a pensare, a fare ciò che si potesse, per riparare al
pericolo che lor sovrastava... Cosa v'ha ispirato il timore, l'amore?
Cosa avete fatto per loro? Cosa avete pensato?
E tacque in atto di chi aspetta.
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