Testo Completo
Quello stesso giorno, 13 di novembre, arriva un espresso al signor
podestà di Lecco, e gli presenta un dispaccio del signor capitano di
giustizia, contenente un ordine di fare ogni possibile e più opportuna
inquisizione, per iscoprire se un certo giovine nominato Lorenzo
Tramaglino, filatore di seta, scappato dalle forze praedicti egregii domini capitanei, sia tornato, palam vel clam, al suo paese, ignotum quale per l'appunto, verum in territorio Leuci: quod si compertum fuerit sic esse, cerchi il detto signor podestà, quanta maxima diligentia fieri poterit, d'averlo nelle mani, e, legato a dovere, videlizet
con buone manette, attesa l'esperimentata
insufficienza de' manichini
per il nominato soggetto, lo faccia condurre nelle carceri, e lo ritenga
lì, sotto buona custodia, per farne consegna a chi sarà spedito a
prenderlo; e tanto nel caso del sì, come nel caso del no, accedatis
ad domum praedicti Laurentii Tramaliini; et, facta debita diligentia,
quidquid ad rem repertum fuerit auferatis; et informationes de illius
prava qualitate, vita, et complicibus sumatis; e di tutto il detto e il fatto, il trovato e il non trovato, il preso e il lasciato, diligenter referatis.
Il signor podestà, dopo essersi umanamente cerziorato che il soggetto
non era tornato in paese, fa chiamare il console del villaggio, e si fa
condur da lui alla casa indicata, con gran treno di notaio e di birri.
La casa è chiusa; chi ha le chiavi non c'è, o non si lascia trovare. Si
sfonda l'uscio; si fa la debita diligenza, vale a dire che si fa come in
una città presa d'assalto. La voce di quella spedizione si sparge
immediatamente per tutto il contorno; viene agli orecchi del padre
Cristoforo; il quale, attonito non meno che afflitto, domanda al terzo e
al quarto, per aver qualche lume intorno alla cagione d'un fatto così
inaspettato; ma non raccoglie altro che congetture in aria, e scrive
subito al padre Bonaventura, dal quale spera di poter ricevere qualche
notizia più precisa. Intanto i parenti e gli amici di Renzo vengono
citati a deporre ciò che posson sapere della sua prava qualità:
aver nome Tramaglino è una disgrazia, una vergogna, un delitto: il
paese è sottosopra. A poco a poco, si viene a sapere che Renzo è
scappato dalla giustizia, nel bel mezzo di Milano, e poi scomparso;
corre voce che abbia fatto qualcosa di grosso; ma la cosa poi non si sa
dire, o si racconta in cento maniere. Quanto più è grossa, tanto meno
vien creduta nel paese, dove Renzo è conosciuto per un bravo giovine: i
più presumono, e vanno susurrandosi agli orecchi l'uno con l'altro, che è
una macchina mossa da quel prepotente di don Rodrigo, per rovinare il
suo povero rivale. Tant'è vero che, a giudicar per induzione, e senza la
necessaria cognizione de' fatti, si fa alle volte gran torto anche ai
birbanti.
Ma noi, co' fatti alla mano, come si suol dire, possiamo affermare
che, se colui non aveva avuto parte nella sciagura di Renzo, se ne
compiacque però, come se fosse opera sua, e ne trionfò co' suoi fidati, e
principalmente col conte Attilio. Questo, secondo i suoi primi disegni,
avrebbe dovuto a quell'ora trovarsi già in Milano; ma, alle prime
notizie del tumulto, e della canaglia che girava per le strade, in
tutt'altra attitudine che di ricever bastonate, aveva creduto bene di
trattenersi in campagna, fino a cose quiete. Tanto più che, avendo
offeso molti, aveva qualche ragion di temere che alcuno de' tanti, che
solo per impotenza stavano cheti, non prendesse animo dalle circostanze,
e giudicasse il momento buono da far le vendette di tutti. Questa
sospensione non fu di lunga durata: l'ordine venuto da Milano
dell'esecuzione da farsi contro Renzo era già un indizio che le cose
avevan ripreso il corso ordinario; e, quasi nello stesso tempo, se
n'ebbe la certezza positiva. Il conte Attilio partì immediatamente,
animando il cugino a persister nell'impresa, a spuntar l'impegno, e
promettendogli che, dal canto suo, metterebbe subito mano a sbrigarlo
dal frate; al qual affare, il fortunato accidente dell'abietto rivale
doveva fare un gioco mirabile. Appena partito Attilio, arrivò il Griso
da Monza sano e salvo, e riferì al suo padrone ciò che aveva potuto
raccogliere: che Lucia era ricoverata nel tal monastero, sotto la
protezione della tal signora; e stava sempre nascosta, come se fosse una
monaca anche lei, non mettendo mai piede fuor della porta, e assistendo
alle funzioni di chiesa da una finestrina con la grata: cosa che
dispiaceva a molti, i quali avendo sentito motivar non so che di sue
avventure, e dir gran cose del suo viso, avrebbero voluto un poco vedere
come fosse fatto.
Questa relazione mise il diavolo addosso a don Rodrigo, o, per dir
meglio, rendé più cattivo quello che già ci stava di casa. Tante
circostanze favorevoli al suo disegno infiammavano sempre più la sua
passione, cioè quel misto di puntiglio, di rabbia e d'infame capriccio,
di cui la sua passione era composta. Renzo assente, sfrattato, bandito,
di maniera che ogni cosa diventava lecita contro di lui, e anche la sua
sposa poteva esser considerata, in certo modo, come roba di rubello: il
solo uomo al mondo che volesse e potesse prender le sue parti, e fare un
rumore da esser sentito anche lontano e da persone alte, l'arrabbiato
frate, tra poco sarebbe probabilmente anche lui fuor del caso di
nuocere. Ed ecco che un nuovo impedimento, non che contrappesare tutti
que' vantaggi, li rendeva, si può dire, inutili. Un monastero di Monza,
quand'anche non ci fosse stata una principessa, era un osso troppo duro
per i denti di don Rodrigo; e per quanto egli ronzasse con la fantasia
intorno a quel ricovero, non sapeva immaginar né via né verso
d'espugnarlo, né con la forza, né per insidie. Fu quasi quasi per
abbandonar l'impresa; fu per risolversi d'andare a Milano, allungando
anche la strada, per non passar neppure da Monza; e a Milano, gettarsi
in mezzo agli amici e ai divertimenti, per discacciar, con pensieri
affatto allegri, quel pensiero divenuto ormai tutto tormentoso. Ma, ma,
ma, gli amici; piano un poco con questi amici. In vece d'una
distrazione, poteva aspettarsi di trovar nella loro compagnia, nuovi
dispiaceri: perché Attilio certamente avrebbe già preso la tromba, e
messo tutti in aspettativa. Da ogni parte gli verrebbero domandate
notizie della montanara: bisognava render ragione. S'era voluto, s'era
tentato; cosa s'era ottenuto? S'era preso un impegno: un impegno un po'
ignobile, a dire il vero: ma, via, uno non può alle volte regolare i
suoi capricci; il punto è di soddisfarli; e come s'usciva da
quest'impegno? Dandola vinta a un villano e a un frate! Uh! E quando una
buona sorte inaspettata, senza fatica del buon a nulla, aveva tolto di
mezzo l'uno, e un abile amico l'altro, il buon a nulla non aveva saputo
valersi della congiuntura, - e si ritirava vilmente dall'impresa. Ce
n'era più del bisogno, per non alzar mai più il viso tra i galantuomini,
o avere ogni momento la spada alle mani. E poi, come tornare, o come
rimanere in quella villa, in quel paese, dove, lasciando da parte i
ricordi incessanti e pungenti della passione, si porterebbe lo sfregio
d'un colpo fallito? dove, nello stesso tempo, sarebbe cresciuto l'odio
pubblico, e scemata la riputazion del potere? dove sul viso d'ogni
mascalzone, anche in mezzo agl'inchini, si potrebbe leggere un amaro:
l'hai ingoiata, ci ho gusto? La strada dell'iniquità, dice qui il
manoscritto, è larga; ma questo non vuol dire che sia comoda: ha i suoi
buoni intoppi, i suoi passi scabrosi; è noiosa la sua parte, e faticosa,
benché vada all'ingiù.
A don Rodrigo, il quale non voleva uscirne, né dare addietro, né
fermarsi, e non poteva andare avanti da sé, veniva bensì in mente un
mezzo con cui potrebbe: ed era di chieder l'aiuto d'un tale, le cui mani
arrivavano spesso dove non arrivava la vista degli altri: un uomo o un
diavolo, per cui la difficoltà dell'imprese era spesso uno stimolo a
prenderle sopra di sé. Ma questo partito aveva anche i suoi
inconvenienti e i suoi rischi, tanto più gravi quanto meno si potevano
calcolar prima; giacché nessuno avrebbe saputo prevedere fin dove
anderebbe, una volta che si fosse imbarcato con quell'uomo, potente
ausiliario certamente, ma non meno assoluto e pericoloso condottiere.
Tali pensieri tennero per più giorni don Rodrigo tra un sì e un no,
l'uno e l'altro più che noiosi. Venne intanto una lettera del cugino, la
quale diceva che la trama era ben avviata. Poco dopo il baleno, scoppiò
il tuono; vale a dire che, una bella mattina, si sentì che il padre
Cristoforo era partito dal convento di Pescarenico. Questo buon successo
così pronto, la lettera d'Attilio che faceva un gran coraggio, e
minacciava di gran canzonature, fecero inclinar sempre più don Rodrigo
al partito rischioso: ciò che gli diede l'ultima spinta, fu la notizia
inaspettata che Agnese era tornata a casa sua: un impedimento di meno
vicino a Lucia. Rendiam conto di questi due avvenimenti, cominciando
dall'ultimo.
Le due povere donne s'erano appena accomodate nel loro ricovero, che
si sparse per Monza, e per conseguenza anche nel monastero, la nuova di
quel gran fracasso di Milano; e dietro alla nuova grande, una serie
infinita di particolari, che andavano crescendo e variandosi ogni
momento. La fattoressa, che, dalla sua casa, poteva tenere un orecchio
alla strada, e uno al monastero, raccoglieva notizie di qui, notizie di
lì, e ne faceva parte all'ospiti.
- Due, sei, otto, quattro, sette ne hanno messi in prigione;
gl'impiccheranno, parte davanti al forno delle grucce, parte in cima
alla strada dove c'è la casa del vicario di provvisione... Ehi, ehi,
sentite questa! n'è scappato uno, che è di Lecco, o di quelle parti. Il
nome non lo so; ma verrà qualcheduno che me lo saprà dire; per veder se
lo conoscete.
Quest'annunzio, con la circostanza d'esser Renzo appunto arrivato in
Milano nel giorno fatale, diede qualche inquietudine alle donne, e
principalmente a Lucia; ma pensate cosa fu quando la fattoressa venne a
dir loro: - e proprio del vostro paese quello che se l'è battuta, per
non essere impiccato; un filatore di seta, che si chiama Tramaglino: lo
conoscete?
A Lucia, ch'era a sedere, orlando non so che cosa, cadde il lavoro di
mano; impallidì, si cambiò tutta, di maniera che la fattoressa se ne
sarebbe avvista certamente, se le fosse stata più vicina. Ma era ritta
sulla soglia con Agnese; la quale, conturbata anche lei, però non tanto,
poté star forte; e, per risponder qualcosa, disse che, in un piccolo
paese, tutti si conoscono, e che lo conosceva; ma che non sapeva pensare
come mai gli fosse potuta seguire una cosa simile; perché era un
giovine posato. Domandò poi se era scappato di certo, e dove.
- Scappato, lo dicon tutti; dove, non si sa; può essere che
l'accalappino ancora, può essere che sia in salvo; ma se gli torna sotto
l'unghie, il vostro giovine posato...
Qui, per buona sorte, la fattoressa fu chiamata, e se n'andò:
figuratevi come rimanessero la madre e la figlia. Più d'un giorno,
dovettero la povera donna e la desolata fanciulla stare in una tale
incertezza, a mulinare sul come, sul perché, sulle conseguenze di quel
fatto doloroso, a commentare, ognuna tra sé, o sottovoce tra loro,
quando potevano, quelle terribili parole.
Un giovedì finalmente, capitò al monastero un uomo a cercar d'Agnese.
Era un pesciaiolo di Pescarenico, che andava a Milano, secondo
l'ordinario, a spacciar la sua mercanzia; e il buon frate Cristoforo
l'aveva pregato che, passando per Monza, facesse una scappata al
monastero, salutasse le donne da parte sua, raccontasse loro quel che si
sapeva del tristo caso di Renzo, raccomandasse loro d'aver pazienza, e
confidare in Dio; e che lui povero frate non si dimenticherebbe
certamente di loro, e spierebbe l'occasione di poterle aiutare; e
intanto non mancherebbe, ogni settimana, di far loro saper le sue nuove,
per quel mezzo, o altrimenti. Intorno a Renzo, il messo non seppe dir
altro di nuovo e di certo, se non la visita fattagli in casa, e le
ricerche per averlo nelle mani; ma insieme ch'erano andate tutte a voto,
e si sapeva di certo che s'era messo in salvo sul bergamasco. Una tale
certezza, e non fa bisogno di dirlo, fu un gran balsamo per Lucia:
d'allora in poi le sue lacrime scorsero più facili e più dolci; provò
maggior conforto negli sfoghi segreti con la madre; e in tutte le sue
preghiere, c'era mescolato un ringraziamento.
Gertrude la faceva venire spesso in un suo parlatorio privato, e la
tratteneva talvolta lungamente, compiacendosi dell'ingenuità e della
dolcezza della poverina, e nel sentirsi ringraziare e benedire ogni
momento. Le raccontava anche, in confidenza, una parte (la parte netta)
della sua storia, di ciò che aveva patito, per andar lì a patire; e
quella prima maraviglia sospettosa di Lucia s'andava cambiando in
compassione. Trovava in quella storia ragioni più che sufficienti a
spiegar ciò che c'era d'un po' strano nelle maniere della sua
benefattrice; tanto più con l'aiuto di quella dottrina d'Agnese su'
cervelli de' signori. Per quanto però si sentisse portata a
contraccambiare la confidenza che Gertrude le dimostrava, non le passò
neppur per la testa di parlarle delle sue nuove inquietudini, della sua
nuova disgrazia, di dirle chi fosse quel filatore scappato; per non
rischiare di spargere una voce così piena di dolore e di scandolo. Si
schermiva anche, quanto poteva, dal rispondere alle domande curiose di
quella, sulla storia antecedente alla promessa; ma qui non eran ragioni
di prudenza. Era perché alla povera innocente quella storia pareva più
spinosa, più difficile da raccontarsi, di tutte quelle che aveva
sentite, e che credesse di poter sentire dalla signora. In queste c'era
tirannia, insidie, patimenti; cose brutte e dolorose, ma che pur si
potevan nominare: nella sua c'era mescolato per tutto un sentimento, una
parola, che non le pareva possibile di proferire, parlando di sé; e
alla quale non avrebbe mai trovato da sostituire una perifrasi che non
le paresse sfacciata: l'amore!
Qualche volta, Gertrude quasi s'indispettiva di quello star così
sulle difese; ma vi traspariva tanta amorevolezza, tanto rispetto, tanta
riconoscenza, e anche tanta fiducia! Qualche volta forse, quel pudore
così delicato, così ombroso, le dispiaceva ancor più per un altro verso;
ma tutto si perdeva nella soavità d'un pensiero che le tornava ogni
momento, guardando Lucia: "a questa fo del bene". Ed era vero; perché,
oltre il ricovero, que' discorsi, quelle carezze famigliari erano di non
poco conforto a Lucia. Un altro ne trovava nel lavorar di continuo; e
pregava sempre che le dessero qualcosa da fare: anche nel parlatorio,
portava sempre qualche lavoro da tener le mani in esercizio: ma, come i
pensieri dolorosi si caccian per tutto! cucendo, cucendo, ch'era un
mestiere quasi nuovo per lei, le veniva ogni poco in mente il suo aspo; e
dietro all'aspo, quante cose!
Il secondo giovedì, tornò quel pesciaiolo o un altro messo, co'
saluti del padre Cristoforo, e con la conferma della fuga felice di
Renzo. Notizie più positive intorno a' suoi guai, nessuna; perché, come
abbiam detto al lettore, il cappuccino aveva sperato d'averle dal suo
confratello di Milano, a cui l'aveva raccomandato; e questo rispose di
non aver veduto né la persona, né la lettera; che uno di campagna era
bensì venuto al convento, a cercar di lui; ma che, non avendocelo
trovato, era andato via, e non era più comparso.
Il terzo giovedì, non si vide nessuno; e, per le povere donne, fu non
solo una privazione d'un conforto desiderato e sperato, ma, come accade
per ogni piccola cosa a chi è afflitto e impicciato, una cagione
d'inquietudine, di cento sospetti molesti. Già prima d'allora, Agnese
aveva pensato a fare una scappata a casa; questa novità di non vedere
l'ambasciatore promesso, la fece risolvere. Per Lucia era una faccenda
seria il rimanere distaccata dalla gonnella della madre; ma la smania di
saper qualche cosa, e la sicurezza che trovava in quell'asilo così
guardato e sacro, vinsero le sue ripugnanze. E fu deciso tra loro che
Agnese anderebbe il giorno seguente ad aspettar sulla strada il
pesciaiolo che doveva passar di lì, tornando da Milano; e gli
chiederebbe in cortesia un posto sul baroccio, per farsi condurre a'
suoi monti. Lo trovò in fatti, gli domandò se il padre Cristoforo non
gli aveva data qualche commissione per lei: il pesciaiolo, tutto il
giorno avanti la sua partenza era stato a pescare, e non aveva saputo
niente del padre. La donna non ebbe bisogno di pregare, per ottenere il
piacere che desiderava: prese congedo dalla signora e dalla figlia, non
senza lacrime, promettendo di mandar subito le sue nuove, e di tornar
presto; e partì.
Nel viaggio, non accadde nulla di particolare. Riposarono parte della
notte in un'osteria, secondo il solito; ripartirono innanzi giorno; e
arrivaron di buon'ora a Pescarenico. Agnese smontò sulla piazzetta del
convento, lasciò andare il suo conduttore con molti: Dio ve ne renda
merito; e giacché era lì, volle, prima d'andare a casa, vedere il suo
buon frate benefattore. Sonò il campanello; chi venne a aprire, fu fra
Galdino, quel delle noci.
- Oh! la mia donna, che vento v'ha portata?
- Vengo a cercare il padre Cristoforo.
- Il padre Cristoforo? Non c'è.
- Oh! starà molto a tornare?
- Ma...? - disse il frate, alzando le spalle, e ritirando nel cappuccio la testa rasa.
- Dov'è andato?
- A Rimini.
- A?
- A Rimini.
- Dov'è questo paese?
- Eh eh eh! - rispose il frate, trinciando verticalmente l'aria con la mano distesa, per significare una gran distanza.
- Oh povera me! Ma perché è andato via così all'improvviso?
- Perché ha voluto così il padre provinciale.
- E perché mandarlo via? che faceva tanto bene qui? Oh Signore!
- Se i superiori dovessero render conto degli ordini che dànno, dove sarebbe l'ubbidienza, la mia donna?
- Sì; ma questa e la mia rovina.
- Sapete cosa sarà? Sarà che a Rimini avranno avuto bisogno d'un buon
predicatore (ce n'abbiamo per tutto; ma alle volte ci vuol quell'uomo
fatto apposta); il padre provinciale di là avrà scritto al padre
provinciale di qui, se aveva un soggetto così e così; e il padre
provinciale avrà detto: qui ci vuole il padre Cristoforo. Dev'esser
proprio così, vedete.
- Oh poveri noi! Ouand'è partito?
- Ierlaltro.
- Ecco! s'io davo retta alla mia ispirazione di venir via qualche
giorno prima! E non si sa quando possa tornare? così a un di presso?
- Eh la mia donna! lo sa il padre provinciale; se lo sa anche lui.
Quando un nostro padre predicatore ha preso il volo, non si può
prevedere su che ramo potrà andarsi a posare. Li cercan di qua, li
cercan di là: e abbiamo conventi in tutte le quattro parti del mondo.
Supponete che, a Rimini, il padre Cristoforo faccia un gran fracasso col
suo quaresimale: perché non predica sempre a braccio, come faceva qui,
per i pescatori e i contadini: per i pulpiti delle città, ha le sue
belle prediche scritte; e fior di roba. Si sparge la voce, da quelle
parti, di questo gran predicatore; e lo possono cercare da... da che so
io? E allora, bisogna mandarlo; perché noi viviamo della carità di tutto
il mondo, ed è giusto che serviamo tutto il mondo.
Oh Signore! Signore! - esclamò di nuovo Agnese, quasi piangendo: -
come devo fare, senza quell'uomo? Era quello che ci faceva da padre! Per
noi è una rovina.
- Sentite, buona donna; il padre Cristoforo era veramente un uomo; ma
ce n'abbiamo degli altri, sapete? pieni di carità e di talento, e che
sanno trattare ugualmente co' signori e co' poveri. Volete il padre
Atanasio? volete il padre Girolamo? volete il padre Zaccaria? È un uomo
di vaglia, vedete, il padre Zaccaria. E non istate a badare, come fanno
certi ignoranti, che sia così mingherlino, con una vocina fessa, e una
barbetta misera misera: non dico per predicare, perché ognuno ha i suoi
doni; ma per dar pareri, è un uomo, sapete?
- Oh per carità! - esclamò Agnese, con quel misto di gratitudine e
d'impazienza, che si prova a un'esibizione in cui si trovi più la buona
volontà altrui, che la propria convenienza: - cosa m'importa a me che
uomo sia o non sia un altro, quando quel pover'uomo che non c'è più, era
quello che sapeva le nostre cose, e aveva preparato tutto per aiutarci?
- Allora, bisogna aver pazienza.
- Questo lo so, - rispose Agnese: - scusate dell'incomodo.
- Di che cosa, la mia donna? mi dispiace per voi. E se vi risolvete
di cercar qualcheduno de' nostri padri, il convento è qui che non si
move. Ehi, mi lascerò poi veder presto, per la cerca dell'olio.
- State bene, - disse Agnese; e s'incamminò verso il suo paesetto,
desolata, confusa, sconcertata, come il povero cieco che avesse perduto
il suo bastone.
Un po' meglio informati che fra Galdino, noi possiamo dire come andò
veramente la cosa. Attilio, appena arrivato a Milano, andò, come aveva
promesso a don Rodrigo, a far visita al loro comune zio del Consiglio
segreto. (Era una consulta, composta allora di tredici personaggi di
toga e di spada, da cui il governatore prendeva parere, e che, morendo
uno di questi, o venendo mutato, assumeva temporaneamente il governo).
Il conte zio, togato, e uno degli anziani del consiglio, vi godeva un
certo credito; ma nel farlo valere, e nel farlo rendere con gli altri,
non c'era il suo compagno. Un parlare ambiguo, un tacere significativo,
un restare a mezzo, uno stringer d'occhi che esprimeva: non posso
parlare; un lusingare senza promettere, un minacciare in cerimonia;
tutto era diretto a quel fine; e tutto, o più o meno, tornava in pro. A
segno che fino a un: io non posso niente in questo affare: detto
talvolta per la pura verità, ma detto in modo che non gli era creduto,
serviva ad accrescere il concetto, e quindi la realtà del suo potere:
come quelle scatole che si vedono ancora in qualche bottega di speziale,
con su certe parole arabe, e dentro non c'è nulla; ma servono a
mantenere il credito alla bottega. Quello del conte zio, che, da gran
tempo, era sempre andato crescendo a lentissimi gradi, ultimamente aveva
fatto in una volta un passo, come si dice, di gigante, per un'occasione
straordinaria, un viaggio a Madrid, con una missione alla corte; dove,
che accoglienza gli fosse fatta, bisognava sentirlo raccontar da lui.
Per non dir altro, il conte duca l'aveva trattato con una degnazione
particolare, e ammesso alla sua confidenza, a segno d'avergli una volta
domandato, in presenza, si può dire, di mezza la corte come gli piacesse
Madrid, e d'avergli un'altra volta detto a quattr'occhi, nel vano d'una
finestra, che il duomo di Milano era il tempio più grande che fosse
negli stati del re.
Fatti i suoi complimenti al conte zio, e presentatigli quelli del
cugino, Attilio, con un suo contegno serio, che sapeva prendere a tempo,
disse: - credo di fare il mio dovere, senza mancare alla confidenza di
Rodrigo, avvertendo il signore zio d'un affare che, se lei non ci mette
una mano, può diventar serio, e portar delle conseguenze...
- Qualcheduna delle sue, m'immagino.
- Per giustizia, devo dire che il torto non è dalla parte di mio
cugino. Ma è riscaldato; e, come dico, non c'è che il signore zio, che
possa...
- Vediamo, vediamo.
- C'è da quelle parti un frate cappuccino che l'ha con Rodrigo e la cosa è arrivata a un punto che...
- Quante volte v'ho detto, all'uno e all'altro, che i frati bisogna
lasciarli cuocere nel loro brodo? Basta il da fare che dànno a chi
deve... a chi tocca... - E qui soffiò. - Ma voi altri che potete
scansarli...
- Signore zio, in questo, è mio dovere di dirle che Rodrigo l'avrebbe
scansato, se avesse potuto. E il frate che l'ha con lui, che l'ha preso
a provocarlo in tutte la maniere...
- Che diavolo ha codesto frate con mio nipote?
- Prima di tutto, è una testa inquieta, conosciuto per tale, e che fa
professione di prendersela coi cavalieri. Costui protegge, dirige, che
so io? una contadinotta di là; e ha per questa creatura una carità, una
carità... non dico pelosa, ma una carità molto gelosa, sospettosa,
permalosa.
- Intendo, - disse il conte zio; e sur un certo fondo di goffaggine,
dipintogli in viso dalla natura, velato poi e ricoperto, a più mani, di
politica, balenò un raggio di malizia, che vi faceva un bellissimo
vedere.
- Ora, da qualche tempo, - continuò Attilio, - s'è cacciato in testa
questo frate, che Rodrigo avesse non so che disegni sopra questa...
- S'è cacciato in testa, s'è cacciato in testa: lo conosco anch'io il
signor don Rodrigo; e ci vuol altro avvocato che vossignoria, per
giustificarlo in queste materie.
- Signore zio, che Rodrigo possa aver fatto qualche scherzo a quella
creatura, incontrandola per la strada, non sarei lontano dal crederlo: è
giovine, e finalmente non è cappuccino; ma queste son bazzecole da non
trattenerne il signore zio; il serio è che il frate s'è messo a parlar
di Rodrigo come si farebbe d'un mascalzone, cerca d'aizzargli contro
tutto il paese...
- E gli altri frati?
- Non se ne impicciano, perché lo conoscono per una testa calda, e
hanno tutto il rispetto per Rodrigo; ma, dall'altra parte, questo frate
ha un gran credito presso i villani, perché fa poi anche il santo, e...
- M'immagino che non sappia che Rodrigo è mio nipote.
- Se lo sa! Anzi questo è quel che gli mette più il diavolo addosso.
- Come? Come?
- Perché, e lo va dicendo lui, ci trova più gusto a farla vedere a
Rodrigo, appunto perché questo ha un protettor naturale, di tanta
autorita come vossignoria: e che lui se la ride de' grandi e de'
politici, e che il cordone di san Francesco tien legate anche le spade, e
che...
- Oh frate temerario! Come si chiama costui?
- Fra Cristoforo da *** - disse Attilio; e il conte zio, preso da una
cassetta del suo tavolino, un libriccino di memorie, vi scrisse,
soffiando, soffiando, quel povero nome. Intanto Attilio seguitava: - è
sempre stato di quell'umore, costui: si sa la sua vita. Era un plebeo
che, trovandosi aver quattro soldi, voleva competere coi cavalieri del
suo paese; e, per rabbia di non poterla vincer con tutti, ne ammazzò
uno; onde, per iscansar la forca, si fece frate.
- Ma bravo! ma bene! La vedremo, la vedremo, - diceva il conte zio, seguitando a soffiare.
- Ora poi, - continuava Attilio, - è più arrabbiato che mai, perché
gli è andato a monte un disegno che gli premeva molto molto: e da questo
il signore zio capirà che uomo sia. Voleva costui maritare quella sua
creatura: fosse per levarla dai pericoli del mondo, lei m'intende, o per
che altro si fosse, la voleva maritare assolutamente; e aveva trovato
il... l'uomo: un'altra sua creatura, un soggetto, che, forse e senza
forse, anche il signore zio lo conoscerà di nome; perché tengo per certo
che il Consiglio segreto avrà dovuto occuparsi di quel degno soggetto.
- Chi è costui?
- Un filatore di seta, Lorenzo Tramaglino, quello che...
- Lorenzo Tramaglino! - esclamò il conte zio. - Ma bene! ma bravo,
padre! Sicuro... infatti..., aveva una lettera per un... Peccato che...
Ma non importa; va bene. E perché il signor don Rodrigo non mi dice
nulla di tutto questo? perché lascia andar le cose tant'avanti, e non si
rivolge a chi lo può e vuole dirigere e sostenere?
- Dirò il vero anche in questo, - proseguiva Attilio. - Da una parte,
sapendo quante brighe, quante cose ha per la testa il signore zio... -
(questo, soffiando, vi mise la mano, come per significare la gran fatica
ch'era a farcele star tutte) - s'è fatto scrupolo di darle una briga di
più. E poi, dirò tutto: da quello che ho potuto capire, è così
irritato, così fuor de' gangheri, così stucco delle villanie di quel
frate, che ha più voglia di farsi giustizia da sé, in qualche maniera
sommaria, che d'ottenerla in una maniera regolare, dalla prudenza e dal
braccio del signore zio. Io ho cercato di smorzare; ma vedendo che la
cosa andava per le brutte, ho creduto che fosse mio dovere d'avvertir di
tutto il signore zio, che alla fine è il capo e la colonna della
casa...
- Avresti fatto meglio a parlare un poco prima.
- È vero; ma io andavo sperando che la cosa svanirebbe da sé, o che
il frate tornerebbe finalmente in cervello, o che se n'anderebbe da quel
convento, come accade di questi frati, che ora sono qua, ora sono là; e
allora tutto sarebbe finito. Ma...
- Ora toccherà a me a raccomodarla.
- Così ho pensato anch'io. Ho detto tra me: il signore zio, con la
sua avvedutezza, con la sua autorità, saprà lui prevenire uno scandolo, e
insieme salvar l'onore di Rodrigo, che è poi anche il suo. Questo
frate, dicevo io, l'ha sempre col cordone di san Francesco; ma per
adoprarlo a proposito, il cordone di san Francesco, non è necessario
d'averlo intorno alla pancia. Il signore zio ha cento mezzi ch'io non
conosco: so che il padre provinciale ha, com'è giusto, una gran
deferenza per lui; e se il signore zio crede che in questo caso il
miglior ripiego sia di far cambiar aria al frate, lui con due parole...
- Lasci il pensiero a chi tocca, vossignoria, - disse un po' ruvidamente il conte zio.
- Ah è vero! - esclamò Attilio, con una tentennatina di testa, e con
un sogghigno di compassione per sé stesso. - Son io l'uomo da dar pareri
al signore zio! Ma è la passione che ho della riputazione del casato
che mi fa parlare. E ho anche paura d'aver fatto un altro male, -
soggiunse con un'aria pensierosa: - ho paura d'aver fatto torto a
Rodrigo nel concetto del signore zio. Non mi darei pace, se fossi
cagione di farle pensare che Rodrigo non abbia tutta quella fede in lei,
tutta quella sommissione che deve avere. Creda, signore zio, che in
questo caso è proprio...
- Via, via; che torto, che torto tra voi altri due? che sarete sempre
amici, finché l'uno non metta giudizio. Scapestrati, scapestrati, che
sempre ne fate una; e a me tocca di rattopparle: che... mi fareste dire
uno sproposito, mi date più da pensare voi altri due, che, - e qui
immaginatevi che soffio mise, - tutti questi benedetti affari di stato.
Attilio fece ancora qualche scusa, qualche promessa, qualche
complimento; poi si licenziò, e se n'andò, accompagnato da un - e
abbiamo giudizio, - ch'era la formola di commiato del conte zio per i
suoi nipoti.
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