Capitolo XXIII - Analisi e Commento

La Struttura Il capitolo rappresenta sia la continuazione del precedente, sia l'inizio e la fine del processo di conversione dell'Innominato. Idea della conversione che nasce dall'angosciosa notte seguita al rapimento di Lucia. Assistiamo in questo capitolo ad un lungo colloquio, che occupa tutta la parte centrale, tra il potente signore e il cardinale Borromeo. Quindi l'Innominato, accompagnato da don Abbondio, torna al castello per liberare Lucia.
Si può notare in questo 23° capitolo un fatto assai importante: chi si pensava fosse il vincitore della vicenda, vale a dire don Rodrigo, si
trova in difficoltà (a causa della conversione dell'Innominato). I suoi terribili piani si incrinano e la storia inizia a prendere una nuova piega, in cui, finalmente, i "giusti" riescono ad "avere la meglio" sui malvagi, dopo un lasso di tempo (durato 22 capitoli) in cui i ruoli erano ribaltati.

I Personaggi e le Tecniche Narrative
I personaggi di questo capitolo sono essenzialmente tre: il cardinale, l'Innominato e don Abbondio. Tra i primi due uomini, emergono, dal dialogo che hanno, due personalità fortissime ed eccezionali. Si instaura anche un rapporto totalmente positivo. Si assiste ad un momento fortemente commovente che rischierebbe di cadere nel patetico. Rischio scongiurato dalla bravura del narratore che riprende il filo narrativo tornando al dramma di Lucia, ancora prigioniera nel castello. Inoltre torna un personaggio che dalla notte degli imbrogli era scomparso, vale a dire don Abbondio. Egli viene presentato attraverso un soliloquio, che è il modo tipico di presentazione dei pensieri del personaggio; esso costituisce una sorta di ricapitolazione di tutte le sue caratteristiche psicologiche, l'esposizione della "filosofia del quieto vivere". Questa tecnica narrativa mette in luce inoltre la personalità egocentrica del curato che colloca la sua persona al centro di tutto. Come lo studente ricorderà, don Abbondio era alla ricerca della propria tranquillità e della difesa dei propri interessi, ricordiamo infatti la sua frase "a un galantuomo, il quale badi a sé, e stia ne' suoi panni, non accadono mai brutti incontri". E' simpatico vedere come questo "motto" si trasformi nella causa di tutti i problemi dell'uomo di fede, in quanto proprio il suo modo di agire, così passivo, lo ha condotto nei guai. Emblematica la frase: "gli avessi maritati! non mi poteva accader di peggio". Il capitolo si chiude quindi con una nuova crisi dopo quella dell'Innominato, ovvero quella di don Abbondio, vittima dell'eccessivo amore verso se stesso. 

Temi principali e collegamenti
  • Il capitolo riprende la narrazione degli eventi dopo la pausa del cap. XXII, occupato quasi interamente dalla biografia del cardinal Borromeo: l'episodio è diviso in due parti, la prima delle quali descrive il confronto tra Federigo e l'innominato che porta alla conversione del bandito, mentre la seconda ha per protagonista don Abbondio ed ha risvolti decisamente più umoristici, facendo da contrappunto ai toni drammatici di quanto narrato nei capp. precedenti. Il curato torna in scena dopo una lunga assenza, dal momento che era apparso l'ultima volta direttamente nel cap. VIII ed era stato citato nel cap. XI.
  • Il drammatico confronto tra il bandito e il cardinale è il momento centrale del capitolo e, in un certo senso, dell'intero romanzo, poiché grazie alla conversione dell'innominato Lucia verrà liberata e i piani criminosi di don Rodrigo saranno sventati: il dialogo mette di fronte due personaggi di altissima statura morale, ovvero un vescovo amato dal popolo per la sua fama di santità e un malfattore famigerato per i suoi crimini, anche se in preda a una terribile crisi di coscienza e in cerca di risposte alla sua ansia interiore. L'episodio è rappresentato dall'autore con toni elevati e, tuttavia, senza eccedere nel patetico o nei risvolti stucchevoli, in quanto la conversione del bandito viene descritta come il momento finale di un percorso interiore iniziato tempo prima (lo si è visto già nel cap. XX) e giunge alla conclusione attraverso l'incontro decisivo col prelato, che qui appare come un provvidenziale inviato di Dio. Federigo assume un atteggiamento paterno e benevolo verso l'innominato, senza usare un tono predicatorio o di superiorità ma, anzi, sforzandosi di mettersi sullo stesso piano della "pecorella smarrita" con autentico spirito evangelico (Federigo appare qui non tanto come un vescovo quanto come un pastore chiamato a salvare un'anima, e in questo la sua figura è stata accostata al monsignor Myriel dei Miserabili di V. Hugo, che accoglie a braccia aperte l'ex-forzato Jean Valjean e tenta in ogni modo di redimerlo).
  • Don Abbondio viene nuovamente presentato dall'autore con le consuete caratteristiche della paura e dell'egoismo, per cui il curato resta insensibile alla straordinaria conversione dell'innominato e si preoccupa solamente per se stesso, tentando anche goffamente di sottrarsi alle sue responsabilità (sul punto si veda oltre). Memorabile è il suo "monologo interiore" durante il viaggio verso il castello in compagnia del bandito, che anticipa quello di tono simile di cui sarà protagonista nel viaggio di ritorno, nel cap. XXIV. Nel Fermo e Lucia l'episodio era assai più banale e per giunta il bandito era preso da dubbi e paure circa le reazioni dei bravi, che lo inducevano a dare istruzioni al curato su come comportarsi: cfr. il brano Il soliloquio di don Abbondio.
La donna inviata nella lettiga per consolare Lucia è la moglie del sarto del paese, che ospiterà la giovane e Agnese nei giorni seguenti (capp. XXIV-XXV).

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