Quantunque sia vietato entrare in Milano, " senza bulletta di sanità, "
Renzo vi riesce con relativa facilità. Giunto allo " stradone di santa
Teresa, " incontra finalmente una persona, dalla quale vorrebbe qualche
informazione; ma quando gli è vicino, costui, scambiandolo per un
untore, alza un nodoso bastone in segno di minaccia, e gli grida: " via!
via! via! ". Il povero Renzo, che non ha voglia di litigare, ma che
ignora pure quanto la gente sia ossessionata dall’idea del maleficio e
veneficio, perplesso, prosegue per la sua strada. Ma una voce accorata
di donna, circondata da una
nidiata di bambini, dal terrazzino di una
casuccia isolata, lo chiama. Renzo ci va di corsa e apprende che, dopo
la morte del marito, hanno inchiodato la porta di casa, e non è venuto
nessuno, " e questi poveri innocenti moion di fame". Renzo caccia i due
pani che ha in tasca, e con spontanea generosità li offre alla donne.
Proseguendo il suo cammino, per la prima volta, preceduto da un
apparitore, vede un carro funebre, e poi un altro, e un altro ancora, e
attorno i monatti che incitano i cavalli. I cadaveri sono
"ammonticchiati, intrecciati insieme, come un gruppo di serpi". Quella
visione lo inorridisce, e prega per quei morti sconosciuti.
Renzo cammina nella speranza di trovar qualcuno che gl’insegni la casa
di don Ferrante, padrone di Lucia; e si imbatte in un prete, al quale,
facendo un gesto di riverenza, chiede appunto l’ubicazione di quella
casa, al che, dopo che il prete risponde esaurientemente, Renzo gli
raccomanda la povera donna dimenticata.
Mentre Renzo si avvia verso la casa di don Ferrante, ai suoi occhi si
presentano scene strazianti e orribili. Lungo la strada si vedono mucchi
di cenci, qualche cadavere abbandonato, e poi una desolante solitudine.
Se passa qualche viandante, caso raro, ha l’aspetto abbruttito dal
dolore.
Camminando in mezzo a tanto squallore, agli occhi di Renzo si presenta
una scena patetica e piena di cristiana rassegnazione. Una donna, ancora
giovane, con i segni del dolore sul viso, ma con un contegno sereno,
rassegnato, va incontro ad un carro funebre, portando in braccio,
amorevolmente, una sua bambina morta, " ma tutta bene accomodata, coi
capelli divisi sulla fronte, con un vestitino bianchissimo". Ella stessa
adagia la figlia, che si chiama Cecilia, sul carro. Un monatto,
ricevuto del denaro, assicura alla donna che la metterà sotto terra
così, come vuole lei. Quindi, la donna, andando, dice al monatto di
passare verso sera da casa sua, per prendere lei ed un’altra sua
bambina, in procinto di morire.
Ripresosi " da quella straordinaria commozione," Renzo si imbatte ancora
in altre scene di dolore. Ad un crocicchio vede una moltitudine di
persone che viene condotta al lazzaretto. Molti, che volevano morire sul
loro letto, vi vengono condotti a forza dai monatti.
Intanto Renzo, su indicazione di un commissario, e " con una nuova e più
forte ansietà in cuore," giunge finalmente alla casa di don Ferrante.
Bussa al portone e una donna "con un viso ombroso" rispondendo contro
voglia alle domande di Renzo, dice che Lucia è al lazzaretto con la
peste, e tronca il dialogo, chiudendo la finestra, donde si era
affacciata.
Renzo, afflitto e indispettito, afferra il martello, " per picchiar di
nuovo alla disperata" e guarda in pari tempo se viene persona a cui
chiedere informazioni più precise; e vede una donna " con un viso
ch’esprimeva terrore " e con gli occhi stralunati la quale, poiché non è
riuscita a chiamare gente di nascosto, comincia a gridare come una
forsennata: "l’untore, dagli! dagli! dagli all’untore! ". Anche quella
donna sgarbata, riaffacciatasi alla finestra, grida che costui (Renzo) è
" uno di quei birboni che vanno in giro a unger le porte de’
galantuomini".
Alle grida delle due donne, cerca di svignarsela, mentre la gente
l’insegue, lo incalza minacciosamente. Il povero Renzo, vistosi a mal
partito, divenuto sempre più furioso e disperato, si ferma di fronte
alla folla, sfodera un coltellaccio, brandisce in aria la lama in segno
di minaccia.
A questo punto i suoi persecutori, titubanti, si fermano, gesticolando e
urlando. Per sua fortuna in quel momento passa una fila di carri
funebri; senza perder tempo, prende la rincorsa e salta sul secondo. Qui
si sente al sicuro; i suoi inseguitori non si avventeranno contro di
lui. Infatti se ne tornano; ma alcuni, ancora vicini al carro, fanno
versacci e gesti di minaccia. Allora uno dei monatti, i quali avevano
accolto trionfalmente Renzo, credendolo veramente un untore, strappa un
lurido cencio ad un cadavere e finge di buttarlo addosso a quegli
ostinati, che fuggono precipitosamente.
Renzo è felice di essere uscito da una situazione, divenuta pericolosa, "
senza ricevere male né farne". Ora bisogna che si liberi dai monatti.
Quando il carro giunge sul corso di porta Orientale, Renzo riconosce
quel luogo; vi era passato una volta; e sa pure che il lazzaretto è
vicino. Ad una improvvisa fermata del carro, spicca un salto, ringrazia i
monatti, e via verso il lazzaretto, dove giunge in un baleno.
Appena messovi piede, fin dove si stende lo sguardo, vede un brulichio
di malati; ovunque è uno scenario di miseria e di dolore, che
sbalordisce Renzo, stanco ormai di assistere a tanto strazio.
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