Sappiamo come si svolge la vicenda della conversione di Lodovico e come si conclude.
Ma anche riguardo ad essa, vorrei soffermarmi su un aspetto forse un
po' trascurato: la richiesta del perdono di padre Cristoforo alla
famiglia dell'ucciso, radunata in pompa magna per scrivere una bella pagina nella storia della famiglia.Il giovane, generoso ed irruente, non fa nulla per apparire grande, e non è nemmeno cosciente della bellezza del gesto che compie:
quel che predomina in lui è la dolorosa consapevolezza della colpa, che
non lo schiaccia, perché il miracolo della conversione ha illuminato di
nuovo significato ogni suo gesto: la sua vita sarà infatti d'ora in poi
un tentativo di riparazione di quel fatto che ha portato all'uccisione per lui e da lui di due uomini.
E'
incredibile: in un mondo che non conosce la vera pietà, quella che
cerca di abbracciare il cuore dell'uomo che ha bisogno di dare un
significato positivo e non umiliante anche ai fatti più tragici, Manzoni
sembra voler ripetere (meno male che teoricamente la conoscenza
del suo romanzo è obbligatoria nelle nostre scuole) che l'uomo può
essere più grande del male che ha compiuto, che l'errore non è quello
che lo definisce, perché è chiamato ad una dignità … incalcolabile!
E
sconvolgente sembra il fatto che un giovane religioso, con il suo solo
atteggiamento e con la sola espressione del volto da cui traspare il
reale pentimento per ciò di cui è stato responsabile, riesca a
trasformare completamente il comportamento di quel folto accorrere di
familiari del nobile morto: Il volto ed il contegno di fra Cristoforo
disser chiaro agli astanti, che non s'era fatto frate, né veniva a
quell'umiliazione per timore umano: e questo cominciò a conciliarglieli
tutti.Tale fatto necessita di due sottolineature: la prima consiste nel rilevare che paradossalmente è sufficiente che anche una sola persona
recuperi la verità del proprio essere, perché tutto cambi in essa e
intorno ad essa. Ma tale cambiamento ha bisogno di un cuore assetato di
verità e di una proposta seria di ciò che è vero e che può essere
liberamente abbracciato… e nel '600 tutta la mentalità era
fondamentalmente cristiana e offriva in modo inequivocabile tale
proposta, senza troppi psicologismi che finiscono con l'annacquare anche
le cose più belle.
La seconda sottolineatura è la facilità con cui il folto pubblico di orgogliosi nobili, - anche se
la storia non dice che a loro dolesse molto dell'ucciso, e nemmeno una
lagrima fosse stata sparsa per lui, in tutto il parentado -, è disposta, davanti all'umile e profonda compunzione del male a cui la remissione degli uomini non poteva riparare, al perdono commosso.
Evidentemente
la disponibilità al perdono non era un fatto così estraneo alla cultura
del tempo. Infatti percepiamo nella narrazione una sorta di sospiro di
sollievo tra quel parentado apparentemente radunato per una
soddisfazione del proprio orgoglio di casta: La compagnia si
trattenne ancor qualche tempo, con una bonarietà e una cordialità
insolita (…) e taluno, che, per la cinquantesima volta, avrebbe
raccontato come il conte Muzio suo padre aveva saputo, in quella famosa
congiuntura, far stare a dovere il marchese Stanislao, ch'era quel
rodomonte che ognun sa, parlò invece delle penitenze e della pazienza
mirabile d'un fra Simone, morto molt'anni prima.
Perché
l'orgoglio, la superbia sono sì tentazioni cui è facilissimo cedere, ma
la serenità, la concordia che sono conseguenze di una giustizia vera,
sono molto più interessanti e gratificanti, solo se si ha la libertà di seguire il proprio cuore assetato di pace vera.
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