Capitolo 3 - I Quattro Capponi

Credo che non si possa sorvolare sul bonario insegnamento dei quattro capponi di Renzo. La vicenda è nota: i due giovani promessi sposi per l'odioso interessamento di un signorotto di paese e per l'ignavia del povero don Abbondio vedono sconvolto il loro legittimo progetto di matrimonio. La scoperta di questo ingiusto complotto li raggiunge indifesi e li avvicina ancor di più alla madre di Lucia, Agnese, che, da buona popolana, pensa di poter risolvere la situazione consultando quella cima d'uomo che è il dottor Azzecca-garbugli (badate bene di non chiamarlo così!).
Renzo, da bravo giovine che la ferma e dolce decisione di Lucia ha distolto da propositi di vendetta, accetta di buon grado il suggerimento della futura suocera e riceve da lei i famosi quattro capponi perché non bisogna mai andare con le mani vuote da quei signori. Per consegnarglieli, Agnese riunì le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago.
Con questo mazzetto di zampe di cappone sulla mano destra, tormentata anch'essa perché accompagna con i gesti il tumulto dei sentimenti del giovane, Renzo si avvia tra speranza e rabbia verso l'abitazione del dottor Azzecca-garbugli, naturalmente a piedi: Lascio pensare al lettore, come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe a capo all'in giù, nella mano di un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. (…) e dava loro di fiere scosse, e faceva sbalzare quelle teste spenzolate; le quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.
L'arguta riflessione di Manzoni che giunge come un modesto suggerimento alla fine del periodo sintattico, non si può registrare semplicemente con un sorriso di complicità che egli evidentemente sa di poter strappare al lettore.
Ritengo utile riflettere su questo strano comportamento che ci vede così spesso più pronti a cogliere gli elementi di differenza e di discordanza, piuttosto che valorizzare e abbracciare la diversità dell'altro.
In fondo l'uomo, ciascun uomo, è fatto per la comunione, per sentirsi in sintonia con gli altri, per la pace… e invece (chissà perché!) prevale sempre la tendenza ai vari "distinguo", se non alla violenza verbale e fisica, che è forse solo un modo errato e immaturo di mostrare la propria specificità e originalità. Forse perché amiamo le soluzioni più sbrigative e immediate, forse perché è più facile distruggere che costruire; forse perché il tentativo di realizzare una comunione, o almeno un accordo sull'essenziale, è troppo faticoso e richiede troppo tempo…
C'è evidentemente un motivo per cui ciascuno di noi aspira all'unità con gli altri ed alla pace; e c'è anche un motivo per cui non riusciamo a stare al livello delle nostre attese più vere: si tratta semplicemente di focalizzare il problema e affrontarlo con gli strumenti adeguati.

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