Ambrogio Spinola

È il il nobile genovese che nel 1629 sostituisce don Gonzalo Fernandez de Cordoba nella carica di governatore di Milano, dopo la sua rimozione in seguito al cattivo esito della guerra e dell'assedio di Casale del Monferrato: personaggio storico, lo Spinola (1569-1630) fu condottiero al servizio dell'arciduca Alberto, governatore dei Paesi Bassi dominati dalla Spagna, e prese parte alla guerra di Fiandra ottenendo la resa di Ostende (1604), anche se in seguito la Spagna preferì giungere a un accordo con le Province Unite. Divenuto governatore di Milano, gli fu ordinato di prendere Casale ai Francesi ma fallì nell'impresa, ritirandosi in seguito nel suo feudo di Castelnuovo Scrivia dove morì. L'autore lo introduce nel cap. XXVIII del romanzo, dando notizia del suo avvicendamento al governo milanese al posto di don Gonzalo, quindi lo nomina nuovamente nel cap. XXXI dedicato alla peste del 1629-30, allorché Alessandro Tadino e un altro commissario del Tribunale di Sanità lo pregano di assumere provvedimenti urgenti per stringere un cordone sanitario intorno alla città: lo Spinola risponde che la situazione lo affligge, ma le preoccupazioni della guerra sono più pressanti e in sostanza non prende alcuna decisione. Pochi giorni dopo, il 18 nov. 1629, ordina con una grida che si tengano pubblici festeggiamenti per la nascita del primogenito di re Filippo IV, incurante del fatto che un gran concorso di folla nelle strade di Milano non potrà che accrescere il pericolo del contagio, che infatti si diffonderà ampiamente nei mesi seguenti. All'inizio del cap. XXXII viene ricordato che il 4 maggio 1630, quando ormai la peste sta infuriando nella città di Milano e diventa sempre più difficile far fronte alle necessità pubbliche coi pochi denari a disposizione, due decurioni (i magistrati cittadini che si occupavano del governo municipale) si recano al campo di Casale per pregare il governatore di sospendere il pagamento delle imposte e le spese per l'alloggiamento dei soldati, nonché di concedere alla città i fondi necessari per fronteggiare al meglio la calamità. La risposta scritta dello Spinola è desolante, in quanto egli manifesta il suo dispiacere per la situazione ma non prende alcun concreto provvedimento, apponendo in calce "un girigogolo, che voleva dire Ambrogio Spinola, chiaro come le sue promesse". Il gran cancelliere Antonio Ferrer manifesta al governatore il suo disappunto in altre lettere, finché il governatore lo investe della responsabilità di far fronte alla peste, poiché lui è impegnato nelle operazioni belliche.
L'autore condanna con impietosa ironia la sua figura, simile a quella di don Gonzalo per la volontà caparbia di fare la guerra e la sordità ai problemi della popolazione a lui sottomessa, mentre viene criticata anche la storiografia ufficiale che ne ha esaltato la condotta militare e ne ha invece sottaciuto le gravi colpe nel sottovalutare il pericolo della peste e nel non assumere i necessari provvedimenti per arginare il contagio. Manzoni ricorda non senza un certo sarcasmo che lo Spinola morì pochi mesi dopo nel corso della guerra, non sul campo di battaglia ma nel proprio letto, struggendosi per i rimproveri che gli venivano mossi e che lui riteneva ingiusti (il personaggio è parte della critica al mondo del potere che attraversa l'intero romanzo, benché non abbia un vero ruolo narrativo nelle vicende dei Promessi sposi).

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