È il gentiluomo milanese padre di Gertrude, la "Signora" che offre rifugio ad Agnese e Lucia nel monastero di Monza
dove la monaca gode di ampi privilegi: la sua figura è ispirata a
quella di don Martino de Leyva, conte di Monza e padre di Marianna che
costrinse a diventare monaca col nome di suor Virginia Maria nel 1591,
anche se il personaggio è tratteggiato dall'autore con ampia libertà
romanzesca e il suo nome non viene mai fatto. Compare nei capp. IX-X durante il flashback che
narra il passato di Gertrude e nel quale il principe ha un ruolo da
protagonista: decide che tutti i figli cadetti devono entrare in
chiostro per non intaccare il patrimonio di famiglia, destinato
interamente al primogenito, dunque il destino di Gertrude è segnato
prima ancora che lei venga al mondo. Quando la figlia nasce le viene
imposto un nome che richiami immediatamente l'idea del convento (forse
l'autore pensa a santa Gertrude, figlia del beato Pipino) e per volere
del padre essa viene educata nell'idea sottintesa che dovrà farsi
monaca, benché questo non le sia mai detto in modo esplicito. A sei anni
colloca la bambina come educanda nello stesso convento di Monza dove
poi entrerà come suora e dove può contare sull'aiuto interessato della badessa
e di altre monache notabili, che infatti riservano a Gertude un
trattamento di favore e la inducono a sottoscrivere la supplica al vicario delle monache
per essere sottoposta all'esame necessario per indossare il velo. In
seguito la giovane torna a casa per trascorrervi un mese prima di
affrontare l'esame e il principe usa una vera "tortura psicologica" per
indurla ad acconsentire al suo volere, senza mai entrare in argomento ma
facendo in modo che Gertrude viva in una condizione di quasi
isolamento, senza ricevere l'affetto e il calore dei familiari che lei
desidera più di ogni altra cosa. Quando la ragazza scrive il biglietto
d'amore per il paggio, il principe coglie al volo l'occasione per
forzarla al passo che gli sta a cuore, dapprima rimproverandola
aspramente e minacciando oscuri castighi, poi facendole capire che il
solo modo per ottenere il suo perdono è rinunciare alla vita nel mondo
per la quale, col suo incauto comportamento, si è dimostrata indegna
(egli fa leva sulla debolezza di carattere della figlia e anche sul
concetto di onore e decoro nobiliare che informa ogni suo atto).
Gertrude è indotta a dare il suo consenso e da quel momento il principe
la spinge sulla strada della monacazione rendendole di fatto impossibile
tornare indietro, dapprima accompagnandola in una uscita pubblica al
convento di Monza dove la giovane chiede alla badessa di esservi ammessa
come novizia, poi assicurandosi che Gertrude superi senza incertezza
l'esame col vicario (l'uomo le fa intendere che, in caso contrario,
renderebbe pubblico il "fallo" commesso con il paggio). Alla fine
convince la figlia ad accettare di farsi monaca promettendole una vita
di privilegi nel convento, dove sarà la prima dopo la badessa e
assicurandole che sarà sollevata a quella dignità non appena avrà
raggiunto l'età prescritta dal diritto canonico.
Il personaggio
è una delle figure più odiose e negative del romanzo, dal momento che
decide di sacrificare la felicità della figlia in nome del concetto di
decoro aristocratico (cosa assurda secondo l'autore, dal momento che il
suo patrimonio è talmente ampio da poter essere diviso tra tutti i
figli) e non esita, pur di raggiungere il suo intento, a
sottoporre Gertrude a delle autentiche crudeltà psicologiche, in cui
alcuni critici hanno intravisto un riferimento all'educazione gesuitica.
Il principe è protagonista di uno degli episodi del romanzo in cui
Manzoni usa una tecnica narrativa attenta ai risvolti psicologici e
attraverso di lui svolge una sottile critica al comportamento degli aristocratici, poiché il principe è in parte responsabile dei crimini successivamente compiuti da Gertrude insieme al suo amante Egidio.
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