Antonio Ferrer

È il gran cancelliere dello Stato di Milano che esercitò tale carica tra il 1619 e il 1635, sostituendo nel 1628 il governatore don Gonzalo Fernandez de Cordoba impegnato nell'assedio di Casale del Monferrato: è uno dei personaggi storici del romanzo ed è in qualche modo protagonista della rivolta per il pane scatenatasi a Milano il giorno 11 novembre 1628, narrata nei capp. XI, XII e XIII del libro. Essa trae origine dall'insensata decisione presa proprio dal Ferrer di imporre un calmiere (ovvero un tetto massimo) sul prezzo del pane, che non tiene conto delle leggi di mercato e provoca un ribasso forzoso, che ha come conseguenza l'accorrere del popolo ai forni per acquistare il pane a buon mercato (XII). I fornai ovviamente protestano per l'insostenibile perdita economica e chiedono a gran voce la revoca del calmiere, ma il gran cancelliere dichiara che i bottegai si sono molto avvantaggiati in passato e torneranno ad arricchirsi quando la carestia sarà finita, quindi rifiuta di revocare il provvedimento che lo ha reso tanto popolare presso i cittadini milanesi e lascia ad altri l'incombenza di farlo (l'autore osserva con amara ironia che non sa se attribuire ciò alla testardaggine dell'uomo oppure alla sua incompetenza, giacché è impossibile ora entrare nella sua testa per capire cosa pensasse). Il risultato è che il governatore incarica una commissione di decidere in merito alla questione e la revoca del calmiere stabilita da essa scatena la rabbia del popolo e la sommossa.
Ferrer compare poi come personaggio direttamente nel cap. XIII, allorché giunge in carrozza a trarre in salvo Ludovico Melzi d'Eril, il vicario di Provvisione che la folla sta assediando nella sua casa per linciarlo in quanto presunto responsabile della penuria (in realtà, com'è ovvio, il funzionario non ha alcuna colpa). Il gran cancelliere è accolto con acclamazioni di giubilo dalla folla in tumulto, alla quale è gradito per il calmiere imposto sul pane, quindi il funzionario blandisce i rivoltosi con parole lusinghiere promettendo di condurre il vicario in prigione e di volerlo castigare, ma aggiungendo alcune parole in spagnolo ("si es culpable...", se è colpevole) per ingannare la gente che non è in grado di comprendere. Dopo che la carrozza è avanzata lentamente tra la folla assiepata di fronte alla casa del vicario (in mezzo alla quale c'è anche Renzo che si dà un gran daffare per aiutare Ferrer ad arrivare alla porta), il gran cancelliere scende e riesce non senza fatica a infilarsi nella casa, da dove poi trae il vicario che fa salire sulla carrozza e conduce via, continuando a rivolgersi alla folla e a promettere severi castighi verso il funzionario, al quale tuttavia spiega in spagnolo che dice questo solo "por ablandarlos", per rabbonirli. Quando finalmente la carrozza è lontana dal tumulto e i due sono protetti da alcuni soldati, Ferrer mostra il suo vero volto rispondendo in modo cinico al povero vicario, il quale manifesta l'intenzione di lasciare la sua carica e di ritirarsi in una "grotta", mentre il cancelliere dice che egli farà ciò che sarà più conveniente per il servizio al re spagnolo. La figura del Ferrer è delineata in maniera ironica e impietosa dall'autore, che lo rappresenta dapprima come un testardo incompetente che con i suoi provvedimenti insensati è stato causa della rivolta, poi come un attore consumato che riesce ad abbindolare la folla con un discorso ingannevole e un uso astuto del linguaggio, sia pure per ottenere il nobile fine di salvare il vicario dal linciaggio (si veda l'approfondimento del cap. XIII).
Viene citato in precedenza nel cap. III, quando l'Azzecca-garbugli mostra a Renzo la grida del 15 ottobre 1627 che prevede pene severissime a chi minaccia un curato e in calce alla quale il giovane legge la firma del gran cancelliere, "vidit Ferrer" (Renzo se ne ricorderà nel cap. XIII, quando il funzionario arriverà in carrozza e lui chiederà ai rivoltosi se è "quel Ferrer che aiuta a far le gride"). In seguito Renzo lo cita più volte come un galantuomo che aiuta la povera gente nel suo improvvisato discorso di fronte alla folla (XIV), quando attira l'attenzione del poliziotto travestito, mentre nel momento in cui il notaio criminale lo arresta (XV) chiede di essere condotto dal gran cancelliere, affermando che quello gli è debitore (il giovane allude al fatto che ha dato una mano a far stare indietro la folla, quando la carrozza di Ferrer ha raggiunto la casa del vicario di Provvisione). Si parla ancora di lui nel cap. XXVIII, quando l'autore spiega che a Milano, in seguito alla rivolta dell'11 e del 12 novembre 1628, il pane si vende nuovamente a buon prezzo e ciò in forza di provvedimenti di legge tra cui una grida datata 15 novembre a firma del gran cancelliere, in cui si minacciano pene severe a chiunque acquisti pane in misura eccedente il bisogno e ai fornai che non ne vendano al pubblico in quantità sufficiente (Manzoni osserva con la consueta ironia che, se tali gride fossero state eseguite, il ducato di Milano avrebbe avuto più galeotti della Gran Bretagna nel XIX secolo). All'inizio del cap. XXXII, infine, viene detto che il nuovo governatore di Milano, Ambrogio Spinola, risponde in modo evasivo alle insistenti richieste dei decurioni (i magistrati municipali della città) in merito alle strettezze economiche per far fronte alla peste, cosicché il Ferrer gli scrive che la sua risposta era stata letta dai decurioni "con gran desconsuelo" (con vivo dispiacere) e in seguito lo Spinola trasferisce con "lettere patenti" al gran cancelliere tutti i poteri in merito all'epidemia, dal momento che il governatore è impegnato nell'assedio di Casale del Monferrato.
Legato a Ferrer è anche il personaggio del suo cocchiere, lo spagnolo Pedro, al quale il gran cancelliere (XIII) si rivolge con parole in spagnolo che sono quasi passate in proverbio ("Pedro, adelante con juicio", avanti con prudenza, in riferimento alla difficoltà di far avanzare la carrozza in mezzo alla folla).

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