Il Marchese Erede di Don Rodrigo

Compare nel capitolo finale del romanzo (XXXVIII) ed è l'aristocratico che eredita tutti i beni di don Rodrigo, morto di peste al lazzaretto di Milano: giunge al palazzotto del defunto signore per entrare in possesso dell'eredità e il suo arrivo è riferito da Renzo a don Abbondio, come prova dell'avvenuta morte del signorotto e indurre così il curato a celebrare finalmente il matrimonio tra lui e Lucia. Il fatto è confermato anche dal sagrestano Ambrogio e solo allora don Abbondio si rassicura e si lascia andare ad alcune considerazioni poco lusinghiere sul conto di don Rodrigo, mentre il marchese è da lui definito "un bravo signore davvero" e "un uomo della stampa antica". Il giorno dopo è lo stesso marchese a fare visita al curato e in quest'occasione il nobile è descritto come "un uomo tra la virilità e la vecchiezza" e oltre a ciò "aperto, cortese, placido, umile, dignitoso", proprio l'opposto di ciò che era stato don Rodrigo: egli porge a don Abbondio i saluti del cardinal Borromeo e chiede notizie dei due giovani un tempo perseguitati dal defunto parente, al che il curato risponde che sono scampati alla peste e in procinto di sposarsi; il marchese chiede cosa possa fare per aiutarli e riparare così in parte al male commesso da don Rodrigo (egli ha infatti perso i suoi due figli e la moglie, dunque possiede un vasto patrimonio accresciuto da tre eredità) e il curato gli propone prontamente di acquistare i terreni di Renzo e Agnese, i quali sono in predicato di lasciare il paese per trasferirsi insieme a Lucia nel Bergamasco e devono perciò trovare un compratore per le loro proprietà. Il marchese non solo accoglie il suggerimento, ma propone a sua volta a don Abbondio di fissare lui il prezzo e di andare subito a casa di Lucia per intavolare la trattativa: durante il tragitto, il sacerdote chiede al nobile di interessarsi per far revocare il mandato di cattura che pende ancora su Renzo per via dei fatti del tumulto di S. Martino a Milano, cosa che il marchese si impegna a fare anche perché il curato assicura che il giovane non ha commesso gravi reati. Giunti a casa di Lucia e Agnese, dove ci sono anche Renzo e la mercantessa, la trattativa viene presto conclusa con il marchese che pattuisce un prezzo molto alto per l'acquisto delle terre e invita a pranzo tutta la compagnia per il giorno dopo le nozze in quello che fu il palazzo di don Rodrigo, per stilare il compromesso legale. Qui il marchese riserva agli sposi una calda accoglienza e poi li mette a tavola con Agnese e la mercantessa in un tinello, mentre lui si ritira a pranzare con don Abbondio in un'altra sala, suscitando l'osservazione ironica del narratore circa il fatto che sarebbe stato assai più semplice pranzare tutti assieme: l'autore lo definisce "umile", ma non "un portento d'umiltà", aggiungendo che ne "aveva quanta ne bisognava per mettersi al di sotto di quella buona gente, ma non per istar loro in pari" (egli allude alla rigida divisioni in classi sociali in base alla quale era impensabile per un aristocratico sedere alla stessa tavola con borghesi e popolani, benché tale visione sociale fosse in certo modo ancora in vigore anche al tempo di Manzoni). Il personaggio rappresenta comunque l'unica eccezione fra i personaggi nobili del romanzo, in quanto non sembra condividere l'attaccamento alle concezioni di onore e cavalleria che sono all'origine di molti soprusi a danno degli umili e, soprattutto, cerca di riparare ai torti commessi da don Rodrigo, agevolando di fatto l'inizio della nuova vita degli sposi in quella che sarà la loro nuova patria.

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