Bortolo Castagneri

È il cugino di Renzo che vive e lavora in un paese vicino a Bergamo (nel territorio che all'epoca faceva parte della Repubblica di Venezia) e che offre rifugio e lavoro al protagonista dopo la sua fuga da Milano in seguito al tumulto di S. Martino, quando è braccato dalla giustizia: è nominato per la prima volta nel cap. VI, quando Agnese propone lo stratagemma del "matrimonio a sorpresa" e Renzo progetta a sua volta di trasferirsi con Lucia e la madre nel Bergamasco, dove appunto suo cugino Bortolo è impiegato in un filatoio di seta e dove ha spesso invitato il protagonista a raggiungerlo, poiché in quel territorio gli operai della seta sono molto richiesti. In seguito Renzo sarà costretto a rifugiarsi nel Bergamasco come fuggitivo e qui raggiungerà il cugino nel paese in cui vive (XVII), ricevendo una calorosa accoglienza nel filatoio in cui lavora e di cui l'uomo è diventato il factotum, essendo tra l'altro il braccio destro del proprietario (viene lasciato intendere che l'uomo è nato nello stesso paese del protagonista e che conosce bene Lucia e Agnese, dunque si è trasferito tempo prima nel Bergamasco senza tuttavia che sia precisato quando ciò è avvenuto). Bortolo spiega a Renzo che in questo momento non c'è richiesta di operai a causa della crisi, ma aiuterà comunque il cugino in quanto gode del favore del padrone e ha messo da parte discreti guadagni, perciò sarà lieto di condividere questo benessere con un membro della famiglia. Informa Renzo del fatto che la carestia è presente anche in quel territorio, tuttavia la politica dello Stato veneto è più oculata di quella di Milano e questo permette di alleviare le sofferenze della popolazione, sia con l'acquisto di grano a buon mercato proveniente dalla Turchia, sia con l'importazione di miglio per produrre del pane a minor prezzo. Bortolo spiega infine al cugino che i Milanesi vengono definiti dai Bergamaschi "baggiani" (sciocchi), cosa che irrita Renzo ma alla quale dovrà rassegnarsi poiché si tratta di un'usanza inveterata, cui è necessario abituarsi se si vuol vivere in quel territorio; presenta poi Renzo al suo padrone e gli procura un impiego al filatoio e un ricovero, sistemandolo alla meglio durante il primo periodo della sua "latitanza".
Tempo dopo l'uomo è informato del fatto che la giustizia della Repubblica sta facendo indagini su Renzo (XXVI), in seguito alle proteste che il governatore don Gonzalo ha rivolto al residente di Venezia a Milano, quindi si affretta a consigliargli di cambiare paese e trovare lavoro in un altro filatoio, cambiando anche nome per prudenza: lo presenta come Antonio Rivolta al padrone di un altro stabilimento a circa quindici miglia dal suo paese, raccomandando il cugino come ottimo lavoratore della seta e riuscendo a sistemarlo lì (il proprietario è suo amico e originario lui pure del Milanese). In seguito risponde alle molte domande sulla scomparsa di Renzo in modo evasivo, diffondendo voci contraddittorie sulla sua sorte che arrivano all'orecchio di Agnese e non consentono neppure al cardinal Borromeo di prendere informazioni sul giovane fuggiasco, come aveva promesso alla donna e a Lucia.
Renzo resta nel suo nuovo nascondiglio per cinque o sei mesi, al termine dei quali Bortolo si affretta a richiamarlo al suo paese in quanto Venezia e la Spagna sono ora nemiche nella guerra di Mantova e non c'è più pericolo (XXXIII): l'autore spiega la sollecitudine di Bortolo perché questi è sinceramente affezionato al cugino, ma soprattutto perché al filatoio Renzo era di grande aiuto al factotum senza potere aspirare a occupare quella funzione in quanto semi-analfabeta (apprendiamo che l'aiuto offerto a Renzo non è del tutto disinteressato e l'autore osserva con ironia che forse i lettori vorrebbero "un Bortolo più ideale", ma quello "era così"). Dopo aver appreso per lettera del voto di Lucia, Renzo coltiva più volte il proposito di arruolarsi e partecipare alla guerra contro il Ducato di Milano, specie nell'eventualità che sembra imminente di un'invasione di questo da parte di Venezia, ma Bortolo riesce a dissuaderlo illustrandogli i pericoli dell'impresa e mostrandosi scettico sulla sua riuscita (si intuisce che, anche in questo caso, i consigli dell'uomo non sono del tutto spassionati). Per gli stessi motivi dissuade Renzo dal proposito di tornare al suo paese sotto mentite spoglie, finché scoppia l'epidemia di peste del 1630 e il giovane si ammala, riuscendo però a guarire e decidendo di approfittare del flagello per tornare nel Milanese: informa della sua risoluzione Bortolo, che è ancora sano e perciò gli parla da una finestra, augurandogli buon viaggio ed esortandolo a tornare da lui alla fine della pestilenza (Renzo promette di farlo e spera di non tornare da solo).
Alla fine delle vicende del romanzo Renzo va a stabilirsi con le due donne nel paese di Bortolo (XXXVIII) e questi, venuto a sapere che il padrone di un filatoio alle porte di Bergamo è morto di peste e il figlio intende vendere la fabbrica, propone al cugino di entrare in società per rilevarlo: Renzo accetta e così i due acquistano lo stabilimento, iniziando una lucrosa attività che, dopo gli stentati inizi, diventa quanto mai florida.

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